Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo

dal 3 al 30 maggio 2008
Francesca Vivenza
...c'è di mezzo il mare

ANTOLOGIA CRITICA
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... C'E' DI MEZZO IL MARE di: Rosabianca Mascetti

A PROXIMAL IMMANENCE by: Claire Christie


 

... C'E' DI MEZZO IL MARE di: Rosabianca Mascetti

Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare recita un vecchio proverbio popolare che significa che a volte si ha tendenza a parlare molto senza costrutto. I latini sintetizzavano il concetto in un Aliud est dicere, aliud est facere - Altro è dire altro è fare. Il rapporto tra parola e azione è matrice della ricerca di Francesca Vivenza. Per lei l'espressione "dare il giusto peso alle parole" si concretizza, non solo nello studio della loro etimologia, traduzione, applicazione, ma anche trasformazione delle stesse in un prodotto artistico. Cittadina del mondo, da anni dislocata tra Italia e Canada tra il dire e il fare non ha avuto dubbi perché vi ha solo messo di mezzo il mare. Non stupisca che principale oggetto di investigazione per lei siano il viaggio o meglio i "tentativi di viaggio" - come preferisce definirli - perché si sa: l'uomo propone e dio dispone… e chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non quel che trova... F.V. in realtà ha già indagato molti temi arricchendo il proprio bagaglio culturale, attingendo agli argomenti più svariati, non da ultimo a quello dei proverbi popolari. I proverbi hanno rappresentato per secoli una enciclopedia comparata del sapere, in ogni ambito della vita: sono detti brevi e arguti che esprimono in modo figurato o allusivo, concetti, regole, consigli o convinzioni comunemente accettate. I proverbi portano lo stampo e il carattere di un popolo del quale, ben più che la storia, ne chiariscono usi e consumi, modo di pensare e giudicare. La loro matrice è di origine latina pro-verbium e significa "una parola usata al posto di un'altra". Parenti stretti ne sono profezie ed enigmi che trasmettevano il volere degli dei, ma anche adagi, sentenze e massime a cui si ispirano emblemi, stemmi, imprese. Hanno generalmente struttura metrica con uno o più versi, rime interne e varie forme di assonanza che li rendono facilmente memorizzabili per ricordare principi etici, suggerire norme di comportamento, applicare un pizzico di buon senso. I proverbi hanno una loro etica, una loro teologia, riguardano sì i rapporti dell'uomo con i suoi simili, ma anche con se stesso, con Dio e poi ci sono quelli che muovono dal basso, quelli relativi all'agricoltura, alla meteorologia, applicabili forse, quando le piogge erano annunciate dal comportamento degli animali e le stagioni esistevano ancora..... Ai giorni nostri il villaggio globale e l'inquinamento atmosferico li hanno resi superati, come fortunatamente quelli, arcaici e velati di efficace cattiveria, riferiti alle donne e ai poveri asini: asini, donne e buoi non t'allontanar da tuoi variante moglie e ronzino, pigliali dal vicino, per finire al più comune, mogli e buoi dei paesi tuoi. Il concetto è chiaro: ambedue indispensabili per i lavori pesanti e di casa vanno scelti secondo qualità e provenienza: oggi si direbbe "con garanzia di tracciabilità" che Francesca Vivenza sottolinea con un'opera ispirata alla conta dei cromosomi. Anche Re Salomone, cui si deve il primo grande compendio di 3000 Proverbi raccolti nel Vecchio Testamento, suggeriva "riflessione e intelligenza" per salvarsi "dalla donna straniera che ha parole seducenti" (Proverbi 2-16). La forma proverbiale è dunque un valido mezzo di comunicazione che accomuna molti popoli: la letteratura colta ne è piena, dalla dottrina cristiana al mondo greco di Zenobio e Diogeniano; se ne riscontrano tracce in Omero, Esiodo (Le opere e i giorni), Seneca, Catone (I distici), Plauto, Terenzio. In epoca medioevale nei Regimen Sanitatis o Flos medicinae i principi essenziali della fiorente scuola medica di Salerno venivano espressi in forma di proverbio. Un grande esperto in materia fu Erasmo da Rotterdam che tradusse in basso latino uno straordinario compendio di proverbi greci e latini, diffusi in tutto il mondo grazie alle preziose stampe del veneziano Manunzio, sotto il titolo di Adagiorum Collectanea che ispirarono a Bruegel il Vecchio l'opera Proverbi fiamminghi in cui racchiuse 120 ammonimenti di saggezza popolare, secondo l'universo simbolico del mondo alla rovescia. Tra i molti in letteratura che si interessarono di proverbi va ricordato Shakespeare che ne profuse a piene mani nelle sue opere; due portano il titolo di All is well that ends well - Tutto è bene ciò che finisce bene e Measure for measure che sarebbe il nostro rendere pan per focaccia o frasche per foglie, dal più lontano latino Par pari referre , citato da Terenzio e Plauto. Nell'Ottocento venne elaborata anche una scienza di studio la paremiologia cui lavorarono con raccolte comparate di interesse antropologico anche Pitré e Lombroso. All'epoca era uso arricchire con proverbi le conversazioni da salotto dove ci si rallegrava, come riferisce Giuseppe Giusti, "con quella gaia, ma inelegantissima anticaglia dei giuochi di pegno" tra cui il "Gioco dei proverbi", oggi modernamente rivisitato in quello dei "Proverbi incrociati", sorta di variante letteraria del "Cadavre exquis" dei Surrealisti. Fu sempre il Giusti che stilò una delle prime raccolte di proverbi italiani, rinnovata e ampliata da Gino Capponi che la considerava "un tesoro di lingua viva e schiettissima, una raccolta d'utili insegnamenti a portata di tutti, un manuale di prudenza pratica che riguardano la vita pubblica e privata". Francesca Vivenza ha svolto una propria ricerca paremiologica concentrandosi su proverbi riferiti ai temi del viaggio e del dislocamento, ricercandoli nella sua lingua madre, l'italiano, ma riscontrabili in molte altre lingue, e dopo averli analizzati nella loro forma verbale li rappresenta sotto forma artistica. Come dalle tasche di Eta Beta, dalla cuccia di Snoopy o dalla borsa di Mary Poppins, dal prezioso bagaglio culturale che F.V. riporta da ogni esplorazione dei territori della memoria, escono oggetti-metafora, sculture, collage, dipinti, libri d'artista.... Esperienza di vita e esperienza artistica in lei sono tutt'uno e per i lavori attinge a materiali d'uso quotidiano, sacrificando a volte anche oggetti d'affezione: lettere di amici e parenti, piantine di città visitate, foto e immagini raccolte con puntuale riferimento a fatti e luoghi. Quello che chiunque gelosamente custodirebbe, celandolo ad un indiscreto occhio estraneo, con lei si trasforma in un nuovo oggetto, assume nuova pelle, nuova forma, nuova vita apportando il proprio contributo emozionale ed estetico, veicolando pensieri, riflessioni. I Proverbi di F.V. sono "riscritti" per lo più utilizzando regolari striscioline di carta prodotte da un distruggi documenti, accuratamente selezione per contenuto, colore, come si fa quando si ricompone un puzzle, solo che qui vengono usate come si potrebbe usare pennello e colore. Visivamente sembrano planimetrie di città trasformate in preziosi merletti, cartografie dal navigatore satellitare di un nuovo mondo, reperti di una civiltà sconosciuta, tracciati di improbabili giochi da tavolo, diagrammi di labirinti con nodi, archi, incroci, percorsi in cui perdersi … sì perché nel labirinto dell'incertezza, dell'angoscia, del sospetto finisce chi lascia la vecchia via per la nuova... chi imbocca tutti i vicoli... chi non ha testa... chi ha fatto la legge e …… A chi non e capitato di trovarsi in una situazione labirintica, senza capo ne coda (espressione riportata da Catone e Tito Livio) che F.V. concentra in un piccolo libro d'artista illustrato con foto scattate in un magazzino di mobili d'epoca e assemblato in modo da dover essere continuamente rigirato sottosopra. Ad ogni pagina siamo costretti a fermarci e cambiare registro con un senso di vertigine, di panico come quando ci troviamo ad affrontare un trasloco. Ma nella vita bisogna avere senso pratico, pazienza perché la notte porta consiglio ma soprattutto usare la ragione, la testa perché se non hai testa devi avere gambe e quando hai gambe, cioè dinamismo, hai testa e allora puoi dire che cosa fatta capo ha. Una cosa che è stata fatta ha preso forma, magari quella di un volto, una cellula, un fiore - come suggerisce l'opera di F.V.; ma cosa succede quando compiamo un'azione risolutiva, quando ciò che è fatto è fatto come diceva Plauto "Factum est illud, fieri infectum non potest", quando la stessa espressione ha un che di fiero e di tremendo, se rapportata ad un avvenimento come quello descritto da Macchiavelli nelle Istorie fiorentine e da Dante nell'Inferno. "La mala parola" fu pronunciata da Mosca de' Lamberti consultato sulla questione di come punire Buondelmonte dei Buondelmonti per aver rotto le nozze con una donzella di casa Amidei preferendole Beatrice di Forese Donati. Applicarono un codice d'onore o meglio, come nel film Il Padrino, gli "fecero un'offerta che non potè rifiutare". Il Boundelmonte fu trucidato la mattina di Pasqua del 1215 ai piedi del Ponte Vecchio e gli Amidei aggiunsero alla colonna sostenuta da due leoni del loro stemma una rosa fiorita, simbolo della vendetta fatta. Perché si sà Non c'è rosa senza spine ("Flowers of all hue, and without thorn the rose" desiderava Milton nel Paradise Lost) e la rosa degli Amidei produsse le spine della guerra tra Guelfi e Ghibellini. La saggezza avrebbe dovuto suggerire vivi e lascia vivere e invece vi fu uno sconfinamento, il superamento di un limite morale e fisico. Che significato può avere oggi il concetto di confine in un mondo geo-politicamente in grande mutamento, e forse non dei migliori. Gente di confini o ladri o assassini avvisa il proverbio che suona allusivamente ironico per chi, come me, vive sul confine con la Svizzera. La scusante sta nel fatto che un tempo viaggiare era rischioso e costoso: superare un passo o una gola voleva dire essere alla mercé di briganti e mercenari mentre al confine si trovavano gabellieri e dazi da pagare. I confini geografici sono individuabili, discutibili, modificabili ma quelli morali, culturali e linguistici sono più problematici, difficilmente marcabili, facilmente valicabili ed è per questo che F.V. è sempre pazientemente in viaggio nei territori della memoria, alla ricerca delle radici delle parole, alla scoperta della sapienza del loro significato e della direzione che esse indicano. La vita è come un labirinto la si intraprende con lo scopo di raggiungerne il centro (successo, amore, denaro, gloria....) e si inforcano percorsi fuorvianti, ingannevoli, e ogni volta nuove partenze, nuovi arrivi, senza ignorare la fatica di quanto fatto e quanto ancora da fare: bisogna ricalcolare tutte le variabili, ritornare sui propri passi e ricomporre la strada, come F.V. fa con le sue striscioline di carta, creare nuovi collegamenti, riferimenti, marcare il percorso o meglio .... risintonizzarsi con la vita e con il cuore.


A PROXIMAL IMMANENCE by: Claire Christie

Early cartographers were challenged to devise a simple, pictorial language to represent the complex, geographical terrain of the physical world while achieving precise charts of relative proximity and distance. Aestheticized historical maps reflected a diverse range of approaches, from narratively-based representations to topographically detailed renderings, whereas contemporary versions are based in the distillation of oceans, cities, highways and borders to a series of lines, colours and dots.The maps of today describe a universal code, highly abstracted in abbreviation, yet broadly decipherable. While it is undoubtedly in the compression mechanism of mapmaking that Francesca Vivenza finds affinity with cartographers—the dizzying lure of an “explanatory cipher”being common to both artist and scientist—it is the marking of points of origin, charting of trajectories, and delineating of boundaries that keenly echo themes central to Vivenza’s practice. Issues of displacement, announced by her own bifurcated, cultural and geographical experience, dividing her time as she does between her native Italy and Canada, are explored through incorporating systems of codification that traditionally fix a sense of being somewhere, of belonging, and then obscuring parts of that code.

For the work entitled, Paesi tuoi/ It is Better to Marry Over the (mixen than over the moor), the colourful coding of geological maps is pressed into service, forming a winding matrix of X’s and Y’s, all contained inside a simple, red circle in outline.The proverb of the title speaks to the idea of marrying “from one’s own village,” with the promise of easing the challenges of married life by ensuring a shared and familiar world view. The composition is evocative of an abstracted cherry blossom branch, with its pink hues and meandering tendrils, allusive of the Japanese symbolism of purity and transience. The interlocking X’s and Y’s are evocative of DNA, the code that distinguishes us from, and connnects us to, one another, assembling a complex portrait of identity and geographic roots.

Vivenza has consistently used navigational and geological maps as the material of collage, trimming and assembling their fragments to construct new paths, ultimately surrendering a map’s utility while reinforcing its potency as a sign system. The resulting works produce a code at odds with itself, wherein misdirection maps a path, fragmentation alludes to a whole, and disorientation fixes a place. It is this dichotomy of durability and mutability that is of interest to Vivenza, illuminating the inherent “double edge” to which all systems of definition are vulnerable, as they rely on a process of interpretation.

With Fatta la legge/ Every Law (has a loophole),Vivenza creates an intricate series of interlocking loops, excised from various geological maps and mounted to painted cardboard. The resultant delicate paper filigree is suggestive of a maze of meaning, with the different map fragments separated from their defining whole, and recontextualized through proximity to other map systems. In the midst of this conflated and compelling mass, one detects a small loop unlike the others.This one is the fragment of a written document—in Arabic script.There is the loophole, and suddenly, the work gives way to notions of continuous historical struggle regarding boundary and sovereignty.

Language is a highly complex code, with myriad combinations capable of producing innumerable meanings. It is a system based in precision—a requisite property of codification—and as such, can generate equally as many, different meanings through imprecision of usage. It can both engender a sense of belonging and provoke feelings of isolation. It can identify a place and recall a remote locale. Again drawing on her own experience, Vivenza’s bilingual existence creates a particular sensitivity to language, a heightened awareness of the perils and humour implicit in language’s misuse. The mark of translation emerges as a persistent motif, not only with respect to language but in the larger realm of codification, where compressed systems of communication and information, while appearing to occupy singular, immovable sites of meaning, are ultimately subject to the conditions under which they are presented.

Much in the way that she redirects the code of maps,Vivenza uses personal correspondence, handwritten in Italian, as a component of her collages. After shredding or trimming these missives, the fragments are arranged in a trajectory, marking a path infused with a narrative feel, even though lingual connectivity has been severed. The letter, as an object, signifies a connection between two people, and the collapsing of an intervening distance, a distance that would seem to reconstitute at the hand of a surrendered message. But while the original code is disrupted, its material form continues to imply a union, a mediated “between.” The textual fragments in Da cosa nasce cosa/One Thing Leads to are laid out as stepping stones, adhered to blue, painted cardboard cut into the shape of a winding river. This ribbon of blue attaches to a yawning arc of interspliced map fragments, which connects to a pool of blue at its opposite end. This reductive, yet laden, composition deftly illustrates the metaphoric implications of the proverb of the title, admonishing that where you end up is a consequence of where you choose to go, regardless of whether or not the destination was clear when the direction was undertaken.

The collage works of this series examine the labyrinthine nature of language and meaning through the use of proverbs as titles. Each proverb is doubly inflected: first presented in Italian, followed by its English translation; already subtly referring to the vagaries of translation, as most of the proverbs in English appear as fragments of their familiar whole. Proverbs date back centuries, many attributable to early Greek philosophers such as Aristotle and Plutarch, and as such, have the mark of durability—in effect, they exist by that virtue. Functioning as a kind of moral map, proverbs provide guidelines for conduct, encapsulations that,much like the cartographer’s map, take complex information and reduce it to abbreviation. As a necessity of metaphorical brevity, most proverbs are anecdotally specific, so have been adapted from culture to culture, language to language, by conforming to aspects of a local custom or experience.

Interweaving these systems of communication—maps, language, proverbs— Vivenza creates an index of the determination of the self, grappling with the dislocating forces of constant migration and competing sociopolitical realities. The assuring markers of place, comfort of language and familiarity of cultural norms are thrown into flux, transformed by new proximities and contexts. Fusing these discontinuous fragments, Francesca Vivenza creates a multiplicity of immanence, suggesting that identity is elastic, informed by a set of constantly shifting values, in a cycle of persistence.

 

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