Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c 22100 Como
ANIMA-LI

mostra tematica interdisciplinare
21 febbraio al 1 aprile 2004

Possono gli animali avere diritti?

Le angolazioni da cui si può affrontare il problema della tutela degli animali sono sostanzialmente due: 1) partire dall’idea dei doveri: solo l’uomo è soggetto morale e può avere diritti e doveri. Tra questi doveri ve ne sono alcuni che si spingono oltre la sfera umana, che hanno destinatari diversi dall’uomo. Ad esempio si hanno doveri verso il paesaggio, che derivano nientemeno che dall’art. 9 della Costituzione, o verso i beni artistici, statue, monumenti, dipinti. E anche verso gli animali: nei confronti di questi ultimi si hanno dei doveri diretti, in quanto essi sono ormai comunemente riconosciuti come creature sensibili; mentre nei confronti del paesaggio ecc. si tratterebbe di doveri indiretti, il cui destinatario principale, diretto, sarebbe sempre l’uomo, magari nella forma di generazioni future. Chiaramente si tratta comunque di una visione antropocentrica, in quanto soltanto l’uomo ha diritti e doveri: mitigati però dal riconoscimento dell’animale come creatura sensibile per cui ci si interessa direttamente al suo benessere.
Sul piano normativo questo approccio porta alla legislazione di tutela, che impone obblighi giuridici e sanzioni. Il nostro sistema giuridico funziona proprio in questo modo, e anzi non bisogna dimenticare che fino al 1993 si basava addirittura sui doveri indiretti anche nei confronti degli animali: vale a dire si tutelavano, in qualche modo, gli animali non perché esseri sensibili, ma in quanto la loro sofferenza poteva causare sofferenza e disagio agli uomini, ed esclusivamente entro tali limiti.
Vi è poi un secondo approccio, quello basato sui diritti, secondo cui anche gli animali non umani sono soggetti di diritto. Questa è la posizione sicuramente più contestata anche all’interno di coloro che si interessano al problema animale, mentre il primo approccio è molto più facilmente accettabile.
Per capire se sia possibile usare la nozione di diritto soggettivo a proposito degli animali, occorre vedere che cosa si intende per diritto soggettivo quando tale concetto viene usato per gli esseri umani. Tradizionalmente lo si è sempre inteso, e da molti lo si intende tuttora, come una facoltà morale, un potere della volontà del soggetto, inevitabilmente accompagnato dalla autocoscienza e dalla razionalità. E’ evidente che è difficile applicare un tale concetto agli animali: si tratta di un concetto costruito, potremmo dire, a misura d’uomo. Ma attenzione: è altrettanto difficile applicarlo “agli infanti e ai pazzi” come si diceva un tempo; adesso si usa l’espressione “umani marginali”, vale a dire i minorati mentali o psichici, i cerebrolesi e i neonati. Si è cercato di ovviare a questa innegabile difficoltà facendo ricorso alla distinzione tra atto e potenza, e all’idea che gli umani marginali hanno diritti in quanto fanno parte di una specie che normalmente possiede delle facoltà morali, è razionale e pienamente autocosciente. Ma si tratta di argomentazioni per la verità poco stringenti. Se i pazzi fossero normali avrebbero la ragione: verissimo, anzi lapalissiano; ma il fatto appunto è che non sono normali. Con i “se”, si dice, non si fa la storia: io credo che non si faccia neppure la filosofia.
E allora ci si deve chiedere se la definizione tradizionale di diritto soggettivo sia l’unica possibile, o plausibile. Sembra proprio di no. Innanzitutto vi è un uso comune del termine “diritti” che vuole semplicemente dire che quando si attribuiscono dei diritti ad un soggetto si intende esprimere l’idea che è giusto che quel soggetto abbia un determinato trattamento. Ed una affermazione del genere si può fare benissimo anche per gli animali. Volendo comunque rimanere su di un livello più teorico, si può proporre un’altra definizione di diritto soggettivo, la quale implica la distinzione tra diritto in senso morale e diritto in senso giuridico.
Si ha un diritto soggettivo morale quando un interesse viene rivendicato da un soggetto o da un gruppo di soggetti per sé e per altri. Se il soggetto o il gruppo di soggetti lo rivendicano solo per se stessi, esso rimane un interesse di natura particolaristica, potremmo dire egoistica, e non assume valenza morale. Il che non significa che non possa diventare un diritto giuridico, tutelato cioè dal diritto: basta che i soggetti rivendicanti abbiano forza sufficiente per imporlo, forza fisica, militare, economica, ideologica, a seconda dei casi. La storia degli ordinamenti giuridici è piena di esempi in tal senso. Possiamo citarne alcuni per così dire classici: come il diritto di vita e di morte che il pater familias aveva nel diritto romano sugli schiavi e persino sui figli; oppure lo jus primae noctis del signore feudale. E anche nel mondo moderno si possono trovare numerosi casi del genere, specialmente nella sfera economica.
Se invece l’interesse viene rivendicato in maniera universale, vale a dire per tutti coloro che hanno un interesse simile e che si trovano nella stessa situazione del richiedente, o che hanno in comune con lui delle caratteristiche rilevanti, ecco che si può parlare di un diritto morale: in altri termini, l’interesse rivendicato si trasforma in diritto morale. Si tratta di quel procedimento noto con il nome di “universalizzabilità”, che è diventato una caratteristica imprescindibile dei giudizi morali, e che discende dalla massima kantiana “agisci in modo che la regola della tua azione possa diventare (o servire da) regola universale”. Che è un altro modo per dire che alla base della morale vi è la “uguale considerazione degli interessi”, indipendentemente da chi ne sia il titolare, maschio o femmina, bianco o nero e infine uomo o animale.
Coloro che sono contrari ai diritti degli animali obiettano che anche accettando questo nuovo tipo di definizione di diritto soggettivo, peraltro perfettamente plausibile, si deve pur sempre restare all’interno della specie umana, perché gli animali sono troppo diversi, non possono avere interessi simili all’uomo né trovarsi in situazioni analoghe. Ma questo non è vero: o si torna a considerare gli animali come macchine o automi, alla maniera di Cartesio, atteggiamento peraltro che è ormai totalmente superato dagli studi etologici; oppure si riconosce che sono delle creature sensibili, capaci di provare piacere e pena, dei “soggetti di una vita”, come scrive Tom Regan, vale a dire esseri che hanno ciascuno una vita propria, dei desideri, delle preferenze, memoria e aspettative per il futuro (quantomeno moltissimi tra gli animali possono venire descritti in questi termini). E allora non si può non riconoscere che hanno numerosi tratti in comune con noi, nonché degli interessi di base simili, primi fra tutti quelli di sopravvivere e di non soffrire. Di conseguenza gli animali possono benissimo rientrare in quella categoria di “altri” per i quali certi diritti fondamentali devono essere rivendicati assieme ai nostri. A questo punto non ha importanza che gli animali, come del resto gli umani marginali, non siano in grado di rivendicare essi stessi i loro diritti, per incapacità di comunicazione o per insufficienza della ragione: infatti sono gli esseri umani dotati di ragione e di capacità linguistiche normali che sono moralmente tenuti a pretenderli anche per loro.
Naturalmente occorre cercare di rivendicarli non solo come diritti morali ma anche come diritti giuridici, perché altrimenti rimarrebbero senza tutela. Certo g1i animali non possono farlo, anche a questo proposito dobbiamo agire noi per loro. Le difficoltà sono enormi, dato che i contrasti tra il benessere degli animali e l’utilità umana sono in molte circostanze assai profondi e con radici che si protendono all’indietro di millenni, fino all’inizio della nostra civiltà e che condizionano la nostra cultura e le nostre stesse strutture psicologiche e mentali. E’ necessario dunque un grosso impegno, una forte mobilitazione da parte dei movimenti animalisti per abbattere quel muro di cui ha parlato il prof. Wise(*), muro che finora abbiamo solo scalfito.
Ma come prima cosa è indispensabile sgombrare il campo dall’idea errata che parlare di diritti degli animali sia un discorso privo di senso.

Silvana Castignone

Silvana Castignone è ordinario di filosofia del diritto all’Università di Genova. Tra i suoi libri: Diritto, linguaggio e realtà (1995), Nuovi diritto e nuovi soggetti (1996) Povere bestie, i diritti degli animali (1997)

Ricordiamo inoltre l’organizzazione con Giuliana Lanata del convegno internazionale: Filosofi e animali nel mondo antico tenutosi presso il centro di Bioetica di Genova nel 1992.(gli atti del convegno sono stati pubblicati da Edizioni ETS, Pisa nel 1994)

Di prossima pubblicazione sono le voci Vivisezione e Specismo compilate per la nuova Enciclopedia Salesiana

(*)Wise, Steve, Rattling The Cage. Towards Legal Rights for Animals, Perseus Books, Cambridge, Massachussets, 2001.

 

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