Possono gli animali
avere diritti?
Le angolazioni da cui
si può affrontare il problema della tutela degli animali sono sostanzialmente
due: 1) partire dall’idea dei doveri: solo l’uomo è soggetto morale
e può avere diritti e doveri. Tra questi doveri ve ne sono alcuni
che si spingono oltre la sfera umana, che hanno destinatari diversi
dall’uomo. Ad esempio si hanno doveri verso il paesaggio, che derivano
nientemeno che dall’art. 9 della Costituzione, o verso i beni artistici,
statue, monumenti, dipinti. E anche verso gli animali: nei confronti
di questi ultimi si hanno dei doveri diretti, in quanto essi sono
ormai comunemente riconosciuti come creature sensibili; mentre nei
confronti del paesaggio ecc. si tratterebbe di doveri indiretti, il
cui destinatario principale, diretto, sarebbe sempre l’uomo, magari
nella forma di generazioni future. Chiaramente si tratta comunque
di una visione antropocentrica, in quanto soltanto l’uomo ha diritti
e doveri: mitigati però dal riconoscimento dell’animale come creatura
sensibile per cui ci si interessa direttamente al suo benessere.
Sul piano normativo questo approccio porta alla legislazione di tutela,
che impone obblighi giuridici e sanzioni. Il nostro sistema giuridico
funziona proprio in questo modo, e anzi non bisogna dimenticare che
fino al 1993 si basava addirittura sui doveri indiretti anche nei
confronti degli animali: vale a dire si tutelavano, in qualche modo,
gli animali non perché esseri sensibili, ma in quanto la loro sofferenza
poteva causare sofferenza e disagio agli uomini, ed esclusivamente
entro tali limiti.
Vi è poi un secondo approccio, quello basato sui diritti, secondo
cui anche gli animali non umani sono soggetti di diritto. Questa è
la posizione sicuramente più contestata anche all’interno di coloro
che si interessano al problema animale, mentre il primo approccio
è molto più facilmente accettabile.
Per capire se sia possibile usare la nozione di diritto soggettivo
a proposito degli animali, occorre vedere che cosa si intende per
diritto soggettivo quando tale concetto viene usato per gli esseri
umani. Tradizionalmente lo si è sempre inteso, e da molti lo si intende
tuttora, come una facoltà morale, un potere della volontà del soggetto,
inevitabilmente accompagnato dalla autocoscienza e dalla razionalità.
E’ evidente che è difficile applicare un tale concetto agli animali:
si tratta di un concetto costruito, potremmo dire, a misura d’uomo.
Ma attenzione: è altrettanto difficile applicarlo “agli infanti e
ai pazzi” come si diceva un tempo; adesso si usa l’espressione “umani
marginali”, vale a dire i minorati mentali o psichici, i cerebrolesi
e i neonati. Si è cercato di ovviare a questa innegabile difficoltà
facendo ricorso alla distinzione tra atto e potenza, e all’idea che
gli umani marginali hanno diritti in quanto fanno parte di una specie
che normalmente possiede delle facoltà morali, è razionale e pienamente
autocosciente. Ma si tratta di argomentazioni per la verità poco stringenti.
Se i pazzi fossero normali avrebbero la ragione: verissimo, anzi lapalissiano;
ma il fatto appunto è che non sono normali. Con i “se”, si dice, non
si fa la storia: io credo che non si faccia neppure la filosofia.
E allora ci si deve chiedere se la definizione tradizionale di diritto
soggettivo sia l’unica possibile, o plausibile. Sembra proprio di
no. Innanzitutto vi è un uso comune del termine “diritti” che vuole
semplicemente dire che quando si attribuiscono dei diritti ad un soggetto
si intende esprimere l’idea che è giusto che quel soggetto abbia un
determinato trattamento. Ed una affermazione del genere si può fare
benissimo anche per gli animali. Volendo comunque rimanere su di un
livello più teorico, si può proporre un’altra definizione di diritto
soggettivo, la quale implica la distinzione tra diritto in senso morale
e diritto in senso giuridico.
Si ha un diritto soggettivo morale quando un interesse viene rivendicato
da un soggetto o da un gruppo di soggetti per sé e per altri. Se il
soggetto o il gruppo di soggetti lo rivendicano solo per se stessi,
esso rimane un interesse di natura particolaristica, potremmo dire
egoistica, e non assume valenza morale. Il che non significa che non
possa diventare un diritto giuridico, tutelato cioè dal diritto: basta
che i soggetti rivendicanti abbiano forza sufficiente per imporlo,
forza fisica, militare, economica, ideologica, a seconda dei casi.
La storia degli ordinamenti giuridici è piena di esempi in tal senso.
Possiamo citarne alcuni per così dire classici: come il diritto di
vita e di morte che il pater familias aveva nel diritto romano
sugli schiavi e persino sui figli; oppure lo jus primae noctis
del signore feudale. E anche nel mondo moderno si possono trovare
numerosi casi del genere, specialmente nella sfera economica.
Se invece l’interesse viene rivendicato in maniera universale, vale
a dire per tutti coloro che hanno un interesse simile e che si trovano
nella stessa situazione del richiedente, o che hanno in comune con
lui delle caratteristiche rilevanti, ecco che si può parlare di un
diritto morale: in altri termini, l’interesse rivendicato si trasforma
in diritto morale. Si tratta di quel procedimento noto con il nome
di “universalizzabilità”, che è diventato una caratteristica imprescindibile
dei giudizi morali, e che discende dalla massima kantiana “agisci
in modo che la regola della tua azione possa diventare (o servire
da) regola universale”. Che è un altro modo per dire che alla base
della morale vi è la “uguale considerazione degli interessi”, indipendentemente
da chi ne sia il titolare, maschio o femmina, bianco o nero e infine
uomo o animale.
Coloro che sono contrari ai diritti degli animali obiettano che anche
accettando questo nuovo tipo di definizione di diritto soggettivo,
peraltro perfettamente plausibile, si deve pur sempre restare all’interno
della specie umana, perché gli animali sono troppo diversi, non possono
avere interessi simili all’uomo né trovarsi in situazioni analoghe.
Ma questo non è vero: o si torna a considerare gli animali come macchine
o automi, alla maniera di Cartesio, atteggiamento peraltro che è ormai
totalmente superato dagli studi etologici; oppure si riconosce che
sono delle creature sensibili, capaci di provare piacere e pena, dei
“soggetti di una vita”, come scrive Tom Regan, vale a dire esseri
che hanno ciascuno una vita propria, dei desideri, delle preferenze,
memoria e aspettative per il futuro (quantomeno moltissimi tra gli
animali possono venire descritti in questi termini). E allora non
si può non riconoscere che hanno numerosi tratti in comune con noi,
nonché degli interessi di base simili, primi fra tutti quelli
di sopravvivere e di non soffrire. Di conseguenza gli animali possono
benissimo rientrare in quella categoria di “altri” per i quali certi
diritti fondamentali devono essere rivendicati assieme ai nostri.
A questo punto non ha importanza che gli animali, come del resto gli
umani marginali, non siano in grado di rivendicare essi stessi i loro
diritti, per incapacità di comunicazione o per insufficienza della
ragione: infatti sono gli esseri umani dotati di ragione e di capacità
linguistiche normali che sono moralmente tenuti a pretenderli anche
per loro.
Naturalmente occorre cercare di rivendicarli non solo come diritti
morali ma anche come diritti giuridici, perché altrimenti rimarrebbero
senza tutela. Certo g1i animali non possono farlo, anche a questo
proposito dobbiamo agire noi per loro. Le difficoltà sono enormi,
dato che i contrasti tra il benessere degli animali e l’utilità umana
sono in molte circostanze assai profondi e con radici che si protendono
all’indietro di millenni, fino all’inizio della nostra civiltà e che
condizionano la nostra cultura e le nostre stesse strutture psicologiche
e mentali. E’ necessario dunque un grosso impegno, una forte mobilitazione
da parte dei movimenti animalisti per abbattere quel muro di cui ha
parlato il prof. Wise(*), muro che finora abbiamo
solo scalfito.
Ma come prima cosa è indispensabile sgombrare il campo dall’idea errata
che parlare di diritti degli animali sia un discorso privo di senso.
Silvana Castignone
Silvana
Castignone è ordinario di filosofia del diritto all’Università
di Genova. Tra i suoi libri: Diritto, linguaggio e realtà (1995),
Nuovi diritto e nuovi soggetti (1996) Povere bestie, i diritti
degli animali (1997)
Ricordiamo
inoltre l’organizzazione con Giuliana Lanata del convegno internazionale:
Filosofi e animali nel mondo antico tenutosi presso il centro
di Bioetica di Genova nel 1992.(gli
atti del convegno sono stati pubblicati da Edizioni ETS, Pisa
nel 1994)
Di
prossima pubblicazione sono le voci Vivisezione e Specismo
compilate per la nuova Enciclopedia Salesiana
(*)Wise,
Steve, Rattling The Cage. Towards Legal Rights for Animals, Perseus
Books, Cambridge, Massachussets, 2001.