Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como
archivio storico artisti

GIULIANO TOMAINO

antologia critica

LA FABBRICA DELLE SINTONIE
di: Aberto Mattia Martini

I racconti pescati dal fondo della propria anima assaporano il gusto di orientarsi oltre ogni consuetudine, riemergere da una vita monocroma, riflettere: un sogno, un’attrazione che è ricerca di felicità. A volte ci addentriamo, abbandonandoci nelle impervie e articolate vie del pensiero, spinti non solo dal desiderio, ma dall’armonia e dalla sensibilità, anelito forse utopistico di plasmare un intimo microcosmo. Tomaino approfondisce una perenne introspezione sul mondo, e ancora prima sull’uomo. Afferma Kant: “Se vuoi conoscere il mondo, devi prima conoscere gli uomini, le loro menti i e loro sensi”, un tentativo per mezzo dell’arte di ritrovare le regioni perdute e sepolte dalla coscienza. Bramosia d’accedere al circolo magico dell’arte, interpretazione della vita in morbido sogno attratto e rubato alla bellezza e alla libertà, dimora di dolore accecata dall’irrequietezza e dall’insoddisfazione, perdersi per poi ritrovarsi nell’ambiguità poetica dell’anima. L’arte di Giuliano Tomaino è un messaggio di dimensione cognitiva e percettiva che elegge l’energia e l’armonia a criterio definitivo di espressione onirica, un’azione ipnotica avvolgente, con lo scopo di coinvolgerci in una spinta ascensionale diretta a svicolare le tensioni della mente. Si vivono momenti di assoluta autonomia immaginativa ed interpretativa, un abbandono che fa sognare, ritornando con i ricordi all’infanzia, assaporando profumi di un tempo scomparso per sempre, ma che qui vive d’eternità. Si resta attoniti per l’incorporeità di queste opere, che hanno il potere straniante di rapire lo spirito. La materia, il colore, la cera, le garze, la carta e i segni primordiali avvolgono l’ambiente e la mente come simboli misteriosi echeggianti luoghi della memoria e al contempo come dimora di perspicua saggezza; tutto si muove in libertà e ogni inquietudine svanisce. I soggetti amati e ricorrenti sono il cavallo a dondolo e il “cimbello”, fremiti metaforici, sintonie fra creatività e affetto, un’emozione vissuta in un attimo non ancora svanito, una coerente capacità di intuire la dimensione giocosa del sogno, la pura rievocazione del tempo poetico primario, dominato e poi abbandonato dall’innocenza. È l’apoteosi del segno e del simbolo immersi nella materia, che donano all’opera una sorta di marchio indelebile ed inconfondibile come trasformazione del pensiero in libera espressione, una sinfonia di suoni e di colori dove ogni cosa provoca un ricordo. Un istante d’emozione, un personaggio reale o fantastico all’interno del quale penetriamo con lieve intimità. La partecipazione inconscia e gli impulsi creativi di Giuliano sono la ricerca di un appagamento ai propri desideri, ricompensa per un mondo il più delle volte fittizio, abbandono del puro pittoricismo per una rappresentazione che è, si evasione fiabesca, ma anche confronto con il mondo interiore senza pregiudizi o limiti espressivi. L’arte vive dell’uomo, del suo impeto, della sua fragilità, della libera armonia, del suo dolore e della sua gioia, dell’ironia, della sua contraddittoria esistenza e dell’illimitata passione d’amore. Questo mistero si sviluppa nelle tele, trovando nel segno e nel colore il proprio percorso, partecipi al tempo stesso di una dimensione oggettiva e di una simbolica, giungendo alla raffinata ed intima semplificazione delle forme. Dall’opera di Giuliano emerge anche la grande sensibilità d’animo nascosta dietro il maestoso aspetto, un leggero animo dentro un imponente fisico, quella carica sensibile che trasborda dal petto ed invade le mani, donandogli la facoltà dell’arte, del poter donar vita a ciò che non pulsa. Raffinata capacità percettiva, nascosta fra fluenti fili d’argento, illumina la coscienza di delicata natura poetica che gli permette di trasmettere tutto il valore della sua potenzialità creativa. Il suo libero racconto prende forma nella “fabbrica delle sintonie”, luogo dove confluiscono e si fondono materiali più disparati, vergini d’arte ma colmi di vita e di storia; elementi strappati al nostro tempo, ai pensieri e poi incollati sulla tela. Nello studio di Giuliano le pareti sì animano insieme alle opere e la vita entra dalla porta creando un tutt’uno con le tele. Le relazioni tra le varie materie utilizzate e l’uso creativo dello spazio, creano un movimento alla ricerca di un’attitudine il più possibile mutante, aperta al repentino cambiamento. La loro potenza è travolgente, come una musica che trasporta forza e soavità di spirito. Si susseguono emozioni e incanti, nello scorrere delle opere sospese nell’essenza, galleggianti nel ritmo del tempo. Ogni quadro nasce come idea, azione e insieme come ricerca per indirizzare chi osserva in quella dimensione che vive di luce propria, necessaria per oltrepassare il muro che ci separa dalla chimera dell’altrove. Il fascino che emanano le composizioni deriva proprio dai gesti prima ascoltati e successivamente tracciati all’interno degli elementi materici in costruzione, che occupano lo spazio insieme a figure emblematiche e al peso compositivo del colore. Colori accesi ma raffinati e visionari che, all’occorrenza accolgono anche delicati accenti, attribuendo alle opere straordinari effetti di luce e raffinatezza. E’ dunque un proiettarsi in avanti senza negare le radici culturali, effetto di una personale dichiarazione di atemporalità, una cosciente e sensibile indagine che dalla realtà trae un mondo rinnovato. Così come dovrebbe essere in tutti coloro la cui gioia e dolore primari sono quelli di una ricerca alla scoperta e differenziazione di se stessi.

DALL'ALTRA PARTE DEL MONDO
di: Marzia Ratti
direttore Musei Civici di La Spezia


Nel bailamme divertente del suo studio (dalla terrazza si vede il Caprione vaporoso di acacie), Giuliano Tomaino si aggira con funambolica destrezza tra quadri sculture gessi e innumerevoli tavoli, presentandomi i lavori che andranno in mostra.
Alcuni sono già finiti, altri invece sono ancora in preparazione, come un cavallino a dondolo, che penzola dalle travi del soffitto, fasciato di garza giallo citrino usata come espediente per ottenere nella traduzione in bronzo un pattern sottile sul metallo che ne snaturi la lucida freddezza (il bronzo è sempre una sfida per i contemporanei che sentono fortemente il richiamo della tradizione, ma nello stesso tempo la rifuggono per il monumentalismo che ha veicolato fino a tempi recenti).
Sul davanzale della prima finestra, sono appoggiati oggetti misteriosi, cubi bianchi con colori sfumati in trasparenza, che scopro essere una metamorfosi di due avanzi d'artista: tubetti di colore spremuti e residui di cera, un'unione quantomai improbabile, di quelle che possono venire in mente solo agli alchimisti dell'arte quando sono in vena di sperimentare, di lasciarsi guidare dall'istinto.
Il gioco come dimensione, non solo creativa, ma anche conoscitiva e liberatoria è stato da tempo acquisito al pensiero moderno: è diverso e più nobile rispetto ai comportamenti utilitaristici. La gratuità è il vero sapore dell'arte. Predomina sugli altri un materiale inconsueto: è la guaina catramata che Tomaino usa per realizzare sagome e altre forme riconoscibili, anche se private di ogni contesto logico.
Mani, corpi, animali, oggetti vari, tutti rigorosamente neri stagliati sul loro supporto. Ora sono un abbraccio che si trasforma in una stola sacerdotale (solo per essere lì), ora sono un profilo schiacciato o un'ombra separata dal suo corpo, ora un San Sebastiano moderno schiacciato dai mali del mondo.
L'ombra, il profilo, l'orma, intesi in chiave speculativa e non rappresentativa, sono temi poco frequenti nella pittura (se ne occupa da tempo in Brasile, con risultati affascinanti e assolutamente originali, Regina Silveira) e tentano, col linguaggio visivo, di dare voce alla dimensione animica individuale.
Tomaino non ricerca però l'analisi razionale, la spiegazione o il racconto, ma la sfera emotiva, magmatica, perciò tutto si condensa in pezzi di latta, in scarti di colore (dall'oro antico al rosso lacca), come immagini che affiorino all'improvviso attratte da una forza magnetica. Sembra, cioè, che al momento della composizione del lavoro, Tomaino si lasci guidare solo dall'intuizione, si lasci possedere dal suo soggetto. Talvolta, le cose sono ricoperte da uno strato di cera che le rende atemporali.
Gli strani braccia-testa sembrano provenire da molto lontano, hanno relazione con il rame, la pietra e il legno, si ricollegano agli estremi della scrittura visiva, quando l'immagine non era separata dalla sfera del sacro e della magia. Ma è questo che interessa a Tomaino o, piuttosto, lo scenario semi serio della vita? Con le sue convivenze stridenti e i suoi nonsensi?
Non vorrei azzardare una risposta, ma guardate 'Vincent'(Van Gogh) a gambe all'aria: forse con la testa ficcata all'ingiù si affaccia dall'altra parte del mondo.


SCIAMAN SCIAMANA
di: Tommaso Trini


C'è un opera di Tomaino che funge, si direbbe, da custode del suo studio. Il suo nome è Houdini, proprio quello del celebre illusionista francese dell'ottocento. Sta nella terrazza della casa che l'artista abita presso Sarzana. Chiunque visiti il suo studio la incontra in azione. E' una scultura e al contempo un evento teatrale. Nel mezzo di un cubo di vetro sta una figura in equilibrio; tutt'intorno l'acqua trasborda fasciandolo. Houdini è un cubo d'acqua, trasparente e però impenetrabile.
L'immersione è il suo segreto. Giuliano Tomaino espone in questa mostra quattro cicli di opere recenti, che una stagione di creatività piena, molto piena, sta facendo lievitare da più di tre anni, ebbene, un intimo aspetto comune ai tanti assemblaggi e agli oggetti esposti è il senso della immersione nella trasparenza. Una serie di solidi, simili a 'pani' o mattoni, piccoli ma sorprendentemente pesanti, impastano nella cera manciate di tubetti di colore esaurito. Nel collage dei quadri sono i resti archeologici, come i vecchi utensili per stagnare, che vediamo immersi nelle cere. Tutto qui traspare da una sorta di placenta senza fessure. Dove le energie esaurite e le cose obsolete risultano annegate e insieme conservate. Forse per rigenerarsi?
Anche le rare figure umane si distendono lungo le superfici dei quadri, quasi che vi nuotassero. L'uomo che Tomaino inscena è sempre grande, nero e raro. Ne ha sagomato uno a gambe in su 'per formare la V di vittoria', ha detto, 'per suggerire un omaggio a Vincent (Van Gogh), per lasciare un segno'. Ne ha dipinto un altro su una vasta tela per formare la X, cioè il segno mitologico dell'immortalità. E' una singola immagine corporale, ma reca il titolo Quanti angeli possono danzare sulla capocchia di uno spillo? Non solo l'artista ligure ha familiarità con il mare, dove tutto è visibile salvo la sua oscurità. L'arte di Tomaino tende a familiarizzare anche con le energie meno visibili. Perciò ama sfidare, spesso giocosamente, l'opera al nero, che insegretisce se stessa, spesso inconsciamente. Meglio se è inconscia.
Summa di questa sfida o tendenza è la sua l'immagine oggi più ricorrente: l'arco sciallato delle mani. Bricoleur di corpi, Tomaino ha fatto delle mani abbracciate con armonia (e talora dei piedi, ma con trauma) un luogo della figura umana e un emblema del suo modo bio-energetico di intendere l'arte. Un grafema inedito in cui Tomaino unisce la passata archeologia dell'homo-faber al fantasticare sempre in divenire dell'homo-ludens : le due dimensioni custodite dalla sua opera. Lui ha già posto il quesito. Quante energie possono danzare lungo l'arco di due mani? Ecco una questione capitale dell'estetica postmoderna, quali che siano i segni e le metafore che la impostano.
Oggi il lavoro simbolico degli artisti si riappropria delle funzioni eteronome di azione sul mondo per partecipare all'evoluzione artificiale della mente umana e della materia vivente: per intervenirvi, lui pure, con modalità sia antiche sia futuribili , pena il collasso sotto il dominio delle tecnoscienze.
Dopo aver guadagnato l'autonomia dei linguaggi e dopo aver perduto ogni rivoluzione della società, l'arte vorrebbe non perdere la rivoluzione biologica e riguadagnare l'autonomia psicofisica dei corpi. In quanto custodi dei simboli, certe sue tendenze recuperano, per intanto, l'esercizio energetico dell'immaterialità - sullo sfondo di simbologie di varia osservanza magica, religiosa, sciamanica, alchemica, ecc. - al fine di competere col computer, quel 'Dio' che pare creare vita simulando la vita.
E' in questo crogiolo corporale a tendenza vitalistica che si colloca l'opera del pittore Giuliano Tomaino, foriera del potere nuovamente inquietante dei simboli. Nella sua libera assunzione di tecniche diverse (pittura, assemblaggio, scultura) e di stili multipli (ora informali ora neodada), ma sempre improntati a un simbolismo primitivistico più bizantino che neo tribale riconosciamo echi dada, surrealisti; la ascendenza più interessante risale, io penso, al biomorfismo sagomato che Arp ha introdotto nelle avanguardie; l'affinità più recente è con il modellismo di Pascali. Ma la vera arca in cui il suo lavoro si proietta nel futuro resta quella riaperta dall'arcaico Beuys, come pure dal tecnologico Paik, sullo sfondo di un animismo degli artifici sensoriali e linguistici che, di sciamanico, hanno, più che altro, la memoria.
Accade sempre un evento, anche lieve, nei quadri e negli oggetti di Tomaino, che perciò definirei un pittore performativo. Nei quadri recenti detti sedie (Savonarola), anch’essi arcuati come le mani, una fusione di catrame ne sigilla i fondi neri così fa il calore, che trasmuta e culla. Nelle tavole dal fondo dorato, arcuate come pale d'altare, parti di legno grezzo si liberano dall'oro: aspettano simboli più incarnati. E poi, insomma, come non avvertire il lievitare di un gesto pranoterapeutico in quella figura sciallata che qui modella tutte le forme: un alludere all'imposizione delle mani? Sciamana è l’opera che vuole agire tra il bene e il male, invece di raffigurare il bello o il brutto.
Ma le mani possono liberare o incatenare. Qui torniamo a Houdini lo scialle delle mani teso a guarire è simile allo scialle d'acqua che segrega l’illusionista. Il quale, si sa, era solito incatenarsi nelle segregazioni più pericolose per liberarsene lesto con le sole mani ma non senza astuzie. Là, dove c'è arte, c'è illusione o inganno, oltre a validi esercizi terapeutici. Guardiano dell'arte, Houdini è anche custode d'inganni.
Anticamente, i prodigi erano chiamati Thàumata. Una delle loro manifestazioni umanamente più invocate era la guarigione dei mali, non importa se miracolosa o meno. Affinché il prodigio accadesse, occorreva disporsi con tutto il corpo e tutta la mente nella volontà di prodigarlo o di riceverlo, nell'abbandonarsi alla fiducia, nella condizione del tauma. O abbandonarsi all'entusiasmo, che è senza misteri.
Riconoscere che l’arte è entusiasmo, che possiamo amarla e seguirla fintanto che ne siamo entusiasti, è piuttosto facile. Credere che essa abbia il potere del tauma è piuttosto difficile. In effetti, l’arte moderna, siamo onesti, pare così turbata, così allergica, così sofferente: soffre di allergia alla bellezza... Ecco questa è una prova. L'arte è un vaccino? Per Tomaino "non esiste il bello o il brutto se guardi a occhi chiusi "
Mi domando quale spazio abitano i suoi Cimbelli. Si, queste sagome in ferro di uccelli direttamente disegnati e intagliati nella lamiera, piatti come quinte di un teatro, rossi come un segnale di richiamo, finti come un uccello di richiamo, il cui nome è, per l’appunto, zimbello. Nominarli, guardarli, e udirli risuonare, quasi che fossero cimbali, o cimberli, è tutt'uno. Piatti, i "cimbelli" abitano la superficie.
Benché assimilabili alla scultura, i "cimbelli" di Tomaino condividono la superficie profonda della pittura. Il lettore ricorderà un bellissimo quadro di René Magritte, intitolato Il taumaturgo, la cui figura umana, vagamente zingaresca, presenta una gabbia per uccelli al posto del tronco. Ecco, i "cimbelli" abitano quell'uccelliera.
Che dire, infine, se non decifrare altri indizi? Nella condizione taumaturgica c'è simmetria tra il guaritore e il malato: a un certo punto, l’uomo e i suoi oggetti sono la medesima cosa. Nelle culture sciamaniche del Nord, lo status di "medicine-man" era riconosciuto solo a colui che aveva attraversato la malattia e l'iniziazione alla morte. Superare tali processi simbolici fa, di un guaritore, un oggetto; e viceversa.
Qui ne osservo un esempio. Ho conosciuto Tomaino nel bel mezzo di una prova dolorosa. Tempo fa, l’artista si spezzò le articolazioni di un piede, rovinando giù da una scala a pioli. Non senza vertigine scoprii, che qualcosa, di quell'incidente, era stato già anticipato dalla sua pittura. Quale premonizione più chiara di quella figura che stava lì, visibile, in un quadro? Che aveva dipinto pochi mesi prima di avere quasi perso il piede sinistro. Che raffigurava, immaginate un po’, un piede staccato dalla gamba e posato su una sedia. E che recava il titolo, "il mio piede sinistro"... Anche l’arte s'è presa cura del trauma. Mai la guarigione di un azzoppato è stata meno oziosa, ancorché lunga, lunga come un salto di qualità. Quasi mai il suo fare è stato più forte e più fragile. Avendo, nel frattempo, risvegliato la sua creatività.
Non dirò che Giuliano sia caduto sulla via damascata, né che abbia avuto una vera svolta. Non me lo consentirebbe l’arte, che, come la natura, non fa mai salti come la scienza. Però la sua opera ha messo le ali. Così pure il suo nome: Tauma Tomaino.


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