Piero Cantù
Composizione astratta - 1973
mosaico - cm. 70 x 70
o visto Piero Cantù all’opera
nel suo vasto studio-laboratorio alla periferia di Milano. L’ho visto
creare « un grande mosaico da un immenso coacervo di minuscole tessere
policrome; l’ho visto disegnare incidendo con una lama ben affilata
la bianca superficie di un cartone.
Uno spettacolo straordinario, davvero indimenticabile: una manifestazione
dell’energia vitale allo stato puro nella quale bruciano senza scorie
le componenti civili ‘ della ragione, della cultura, dell’esperienza,
nella tensione di un moto vorticoso delle strutture e degli spazi
che, sollecitati dal giuoco perenne, irremeabile della luce, compongono
l’immagine, definiscono, di volta in volta, la visione alla quale
si affida la ragion d’essere di ogni sua singola opera.
La spontaneità assoluta, la totale fiducia nei segreti valori dell’istinto,
presiedono l’esercizio artistico che Piero Cantù va portando avanti
ormai da molti anni in piena autonomia e con sempre più rigoroso vigore
mettendo a frutto il lungo e appassionato tirocinio nell’area del
mosaico (Cantù, per chi ancora non lo sapesse, è uno dei più prestigiosi
mosaicisti del mondo: ha alle spalle monumentali realizzazioni in
proprio e traduzioni ‘ da opere dei maggiori artisti contemporanei,
da Martini a Fontana a Sassu, che illustrano chiese e palazzi in ogni
parte del globo: da Milano a Manila. nel Kuwait e nella Tanzania ...)
e l’altrettanto lunga ed appassionata frequentazione della pittura
e della scultura (di lui si conoscono dipinti d’arte sacra di alta
e severa nobiltà figurativa nonché eccezionali prove nel campo della
scultura: basterà citare in proposito il recente, gigantesco monumento
per la piazza di Alte Ceccato).
Spontaneità, istintività, immediatezza, le qualità primarie dell’opera
di Cantù, potrebbero apparire in clamorosa contraddizione con i pazienti,
minuziosi procedimenti della tecnica musiva.
In realtà il valore peculiare o meglio la legittima novità estetica
che Piero Cantù propone con il suo lavoro si originano proprio dal
superamento di tale contraddizione: gli eventi provocati e
determinati dallo sforzo di raggiungere facoltà espressive non più
condizionate dagli impacci, dalle remore della tremenda ‘ materia
impiegata, i segni individuati ed enunciati sotto la spinta
della volontà di un’emancipazione linguistica a ogni costo, si pongono
in una dimensione che prescinde la sua stessa condizione tecnica per
affermarsi sul piano della poesia.
Quali siano le connotazioni di questi raggiungimenti, di queste conquiste,
di questi esiti poetici di Piero Cantù non è facile indicare nei limiti
di un giocoforza breve tentativo di approssimazione critica. Tutt’al
massimo si potrà stabilire l’identità di alcune risonanze, non certo
premeditate, talvolta anzi addirittura ancestrali. con momenti assai
alti della storia planetaria dell’arte: dalla severa verticalità delle
strutture e delle cromie gotiche al dinamismo spaziale della nostra
ultima stagione pittorica, dalle improvvise accensioni luministiche
filtrate dall’appercepimento della mistica preziosità orientale alla
grandiosità architettonica della musica barocca e romantica.
Le scansioni, le cadenze, gli equilibri raffinatissimi o barbari di
queste composizioni si dispongono secondo una geometria spirituale
che non ha, almeno in apparenza, canoni o leggi o regole, ma che,
volta per volta, riafferma con prodigiosa esattezza la necessità di
un rapporto visivo con l’esistente, con la realtà, se si vuole, evocando
e magari provocando il continuo intervento della memoria, della fantasia,
della riflessione morale, anche della speranza in una consolante proiezione
avvenire.
E’ a queste precise, severe facoltà poetiche, assai più che alle pur
spesso amabili suggestioni di eleganza e di preziosità insite nel
suo modus operandi, che si affida l’impegno artistico di Piero
Cantù: un impegno che ha, intera, la misura della sua vita, del suo
destino.
Luciano Budigna
Milano, aprile 1973 (in occasione della personale di Piero Cantù
alla galleria Il Salotto)