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Beatrice Cazzaniga - antologia critica

 

Nella scultura di Beatrice Cazzaniga, se da un lato domina la materia, dall'altro è la materia che la ispira stimolandone la fantasia attraverso il variare delle possibilità espressive di un gioco in cui elementi evocativi e surreali si fondono con quelli puramente fantastici.

L'anatomia delle figure, se pur presente, appare smembrata, si snoda e si contorce attraverso nervose articolazioni, brusche fenditure, tagli, lacerazioni, figure spezzate, svuotate, quasi a segnare, a graffiare la bruciante solitudine di queste figure-simboli: <copie>, <maternità>, <figure in camino>, nel loro fluttuare esistenziale, nel loro dinamico incedere verso lo spazio, conquistato attraverso forme longilinee, saettanti, sottili, grafiche.

La superficie materica pungente, aspra, rugosa, acquista valore decorativo e plastico attraverso l'uso del colore e l'alternarsi delle impronte sezionate delle colate ora cilindriche, ora ellittiche, che concorrono a suggerire quest'aspetto leggero, esile, elegante, anche gioioso, rimato da questi contrasti.

Alberto Ceppi
Rivista: "Art fine". 1982 Milano, Italia



A proposito di Beatrice Cazzaniga, scultrice

"Vieni nel primo pomeriggio: parleremo un po' mentre smontiamo la Mostra". Ci eravamo lasciate cosi, Grazia Chiesa ed io, la sera prima, dopo un bella presentazione al "Lavatoio contumaciale" di Tommaso Binga dell'opera e della figura di Isabella Morra, poeta del XVI secolo, uccisa per amore e per poesia o/anche per insano senso dell'onore.

Ci eravamo lasciate cosi e cosi mi accade di conoscere Beatrice: era china su un grosso pacco, tutta presa a legare e chiudere serrare, non le sue mani magre e nervose, lo sguardo aguzzo di chi vuole accertarsi che tutto sia stato fatto a dovere. mi ha aiutato lei - disse Grazia - è qui dall'Argentina. E' una persona eccezionale: vorrei che tu la conoscessi".

Cosi, cominciammo a parlare di gelato alla frutta e gelato alle creme con/senza panna, sedute ad un tavolo di Rosati in bella vista su piazza del Popolo, tra le espressioni ammirate di Grazia per la bella "scenografia" della piazza. "Sono a Roma per un corso di specializzazione all'Istituto italiano per il Restauro: dovevo fermarmi poco tempo e invece... ho lasciato in Argentina la mia bambina." C'è nostalgia nella sua voce. "E mio marito." Alza lo sguardo dalla coppa di gelato e mi fissa dritta diritta negli occhi . "Eppure mi piace." Non so se allude al gelato. Il corso di restauro, intendo. Trattiamo soprattutto reperti archeologici antichissimi, estranei al mio percorso..." e comicia a parlare di questa esperienza con la foga di chi è innamorato del proprio lavoro e si capisce che non ha fatto che attendere a quell'arte da sempre.

Cosi comincio a conoscere Beatrice.

Più tardi, mentre sfoglio il bel catalogo che la Cassa Rurale ed Artigiana di Barlassina (suo paese natale) le ha dedicato del 1993 ed ho sotto gli occhi le riproduzioni delle sue sculture, ripenso a lei, donna essenziale nel gesto come nell'espressione; alle piccole sculture in bronzo che mi ha mostrato con semplicità, lei, scultrice affermata e docente di scultura nella Facoltà di Arte dell'Università Nazionale di Tucumàn e non posso fare a meno di compiacermi per questa dimensione umanissima del fare arte come dell'essere artista: che sia un pregio dell'esserlo al femminile?

Pure, no! Non voglio usare questo metro che potrebbe risultare, per certi versi, ghettizzante; meglio riconoscere a Beatrice le sue innegabili doti di persona ed artista in senso lato.

Beatrice Cazzaniga si cimenta nella scultura in metallo con grande destrezza e direi con la naturalezza di chi è padrone della materia: il bronzo fuso a cera persa secondo l'antica tradizione dei grandi maestri mediterranei prende forma e si piega con leggerezza seguendo la forma geometrica del cilindro che s'incurva senza tuttavia chiudersi su se stesso e lascia intravedere una zona d'ombra interna, oscura, misteriosa.

La superficie alterna fasce ruvide e lisce , incrinature, graffiti, segni appena tracciati più a suggerire forme/parole che a delimitare/stagliare; si apre improvvisa mostrando l'altra faccia, l'oltre da cui scaturiscono sagome snelle, piatte ritagliate addirittura nella lamina bronzea come sulla superficie di carta che usavamo de bambini, con il segno vuoto della figura umana che suggerisce l'ombra/l'assenza/il vuoto ma anche la presenza impalpabile, quell'essere sogno/realtà/irrealtà per cui difficilmente possiamo districarci dal turbamento, dall'ambiguità, da quella paura/desiderio di conoscenza suprema che si cela sul limitare fra ombra e luce essere e non essere, vita e morte.

Interessante è la serie che va sotto il titolo "Tutto il nostro essere (1), che comprende una serie di bronzi a cera persa le cui dimensioni vanno dai 30 ai 150 cm.; mi sono chiesta se le sue figure fossero in fieri o in exitu, se rappresentassero cioè una realtà che esce/nasce/si esterna o una sorta di sogno/allucinazione di qualcosa che si riassorbe/si ricompone/rientra nel cilindro della materia: è difficile rispondere e forse è preferibile non farlo, lasciando alle sculture della Cazzaniga propio questa loro peculiare ambiguità che le carica di valori e potenzialità infinite, quasi plasma in continuo sommovimento.

Il colore varia. Sul bronzo dorato la luce scorre e si accende dei riflessi solari; nelle rientranze scabrose, nelle piccole sceglie leggere ottenute con la pressione della mano si ferma e indugia mostrando le ombre/i bruniti/i tagli repentini della materia che si apre ferita o si dilata levitante come nel bronzo della serie "Tutto il nostro essere", 40 x 50 x 15 cm. (2); talora si fa nero impasto di forme ora aggettanti/opa appena vibranti sulla superficie cilindrica scandita da un rettangolo che si fa modulo costante/reiterato e prelude a forme in fieri o in exitu, come nel grande bronzo della serie "Resurrezione", 160 x 60 cm. (3).

Le piccole sculture che la Cazzaniga presenta in questa Mostra al Café le Folies ripropongono tutti gli elementi delle sculture di media e grande dimensione, con un regio in aggiunta: quello di riuscire a sintetizzare su una superficie limitata ma non per questo meno impegnativa, la forza, la tensione e la leggerezza del gesto con il quale l'autrice fa scaturire la forma dalla materia e dona vita e calore al freddo metallo. La presenza fra le altre della testa di un cavallo rivela l'attaccamento alla natura e il carattere simbolico di libertà che la scultrice attribuisce all'animale lo riconferma protagonista di significati profondi che vanno ben al di là della semplice citazione, come dimostra il branco di cavalli scelto dalla Cazzaniga a protagonista del grande complesso scultoreo progettato nel "monumento alla tradizione" per la Rotonda di Yerba Buena e per il quale l'autrice prevede l'uso esclusivo di materiale di riciclaggio (circa quaranta tonnellate di rottami di ferro) (4).

B. CAZZANIGA, Sculture -Disegni, Milano, 1993, figg. Pp. 33 e ss.
Op. Cit., fig. p. 35.
Op. Cit., fig. P. 34.
E. Wainzinger, in op. Cit., p. 24.

Eugenia Serafini



L'Opera di Beatrice Cazzaniga

Quest'artista, nata in Italia, vicino a Milano, ha realizzato i suoi studi superiori di arte presso l'Università Nazionale di Tucumàn, una delle più prestigiose del paese, presso cui, inoltre, è docente. Ha svolto la maggior parte della sua opera in quella provincia del Nord argentino e l'ha esposta in parecchio occasioni in diverse città del paese, a Buenos Aires, ed in Italia. Tanto nella sua vita , come nella sua opera, quest'artista manifesta la radice europea che caratterizza gli argentini, nei loro modi di vita, e nelle opere culturali. Esemplifica, cosi, una forma di miscuglio e simbiosi tra l'europeo e l'americano.

Valendosi della tecnica di fusione a cera persa per la realizzazione in bronzo, Beatrice Cazzaniga si inserisce nella tradizione scultorea argentina tra quelli che hanno saputo conciliare tradizione con innovazione. Vale a dire che bisogna valorizzare in questa decisione un'attitudine d'integrazione, di affanno, di totalità e universalità, di volontà di permanenza. La possibilità di conciliare un liguaggio di trasparenza e permanenza con i sentimenti attuali e vitali di dinamismo, trasformazione, captazione dell'esperienza inmediata.

Siamo in un'epoca in cui tutti i paradigmi di assoluto sono entrati in crisi. Non ci sono già né modelli, né situazione, né posizioni che si mostrino in stato di purezza e incontaminazione. La vita, e conseguentemente i linguaggi dell'arte, sono inquinati, sono impari e trascrivono ambiguità, duplicità, diversi indirizzi possibili.

Perciò la filiazioni e influenze che registrano oggi gli artisti nelle loro opere sono molteplici e varie. A volte, persino contraddittorie. Si integrano in nuove sintesi nelle quali appaiono trasformate e risignificate antiche posizioni assolute. Quasi nessuno sembra poter sfuggire a queste determinazioni dell'epoca.

In Cazzaniga sembrano convivere influenze diverse che passano tanto per la tradizione europea e l'origine lombarda quanto per l'attrazione per il mondo americano e in particolare quello del nord argentino. Salta, dove è vissuta nella sua gioventù, Tucumàn, dove si è educata, ma con tutto quello che ciò significa. Cioè l'amore per la terra e per la gente, per uno stile di vita legato alla natura, al senso della libertà, alla valorizzazione della povertà.

A partire di questo miscuglio esistenziale, in cui si modella la propria esperienza, l'artista ha sviluppato la sua opera. Perciò vediamo nelle sue sculture elementi di identificazione personale, espressioni che hanno tanto a che vedere con l'uomo universale quanto con l'identità personale, di elementi propri, forme ricorrenti e sviluppi di determinati concetti.

Vediamo al centro della sua opera la figura umana. Si tratta di una figura umana schematizzata da un parte e drammatizzata dell'altra. La schematizzazione corrisponde, piuttosto, ala presenza di silhouette a volte smembrate o accorciate e generalmente ritagliate sulla lastra. Non valutiamo in loro dettaglio, né la sua rappresentazione realista ma la sua condizione di figura espressiva. Non rispondono mai a una concezione statica ma le troviamo "in atto", in una prospettiva dinamica. Quel dinamismo risponde ad un'azione che potremmo chiamare gestuale da parte dell'autrice, che versa su quelle figure un'impronta vitalista. Perciò traducono una condizione drammatica. Non sono figure stilizzate che rispondono ad una idealizzazione ma progettazioni esistenziali. Alludono a un essere umano in stato vivente. Queste figure che si ritagliano sul blocco della lastra generano, a loro, volta, situazioni di vuoto dove appaiono altre figure che sono il suo doppio, il suo riflesso e cornice di riferimento. Vale a dire, che nel gioco di piani che si suscita a partire dalla dinamica del gesto, si moltiplicano figure di diversa indole.

Fermin Febre
Critico d'arte
Buenos Aires, Argentina, 1992.


La scultura di Beatrice Cazzaniga


È innegabile che il dramma esistenziale è una chiave per interpretare l'opera della scultrice Beatrice Cazzaniga.
Le sue creature "gettate nell'esistenza" come avrebbe potuto affermare Heidegegger, condannate "a vivere la propia vita" en una società e in una civiltà disumanizzata ("Apocalisse" è il titolo de una delle opere) tra una sofferenza che non finisce mai. Questa situazione alienante, tipica della nostra tecnocrazia, tende a trasformare l'essere umano in "una cosa", in un "essere senza sentimenti". L'angoscia e la solitudine sono le sublimazioni limite di questa realtà delirante. I personaggi di Beatrice Cazzaniga (sculture in bronzo e altri materiali), elevati a simboli nel significato, vivono in una coralità emblematica (i gruppi giustapposti: problematica di una "scultura ambiente" già sviluppata da lei, soprattutto, nelle grandi dimensioni) o una essenza di comunicabilità (le figure verticali isolate). La disarticolazioni volumetriche, i piani in divenire, i vuoti - strutture virtuali e la "bruttezza" espressiva, le corrosioni materiche e gli assembramenti anatomici mostrano un processo stilistico e anche le ferite umane. "Poetica del dolore", si potebbe dire, che scava nell'esistenza per darci la testimonianza di una verità viscerale.
Così, in questa drammaticità della simbologia, i suoi "esseri crocifissi" (sua Umanità crocifissa") appaiono brutalizzati, in metamorfosi, senza volto, senza identità, deformati nella loro vitale bellezza, mutilati in diverse parti del corpo: piaghe di un dolore universale che si portano dentro. La crocefissione dell'amore è la solidarietà. Per questo, Beatrice Cazzaniga simbolizza i suoi esseri come un atto d'amore disperato: la strada del calvario attraverso una catarsi tragica ineluttabilmente umana come nella tragedia greca. Lo sentiamo nelle sue "figure corali" (i gruppi) e nelle sue "Figure individuali" (le verticali). È la società senza anima in cui ci tocca vivere.
Un palpitante messaggio, il suo, che ci rivela la sua originalità, il suo forte temperamento, la sua profonda emotività.
Le sue recenti mostre in Seregno, Milano e nella capitale messicana hanno di nuovo confermato la sua passionale personalità.
La sua ricerca espressiva continua come un work in progress della genesi joiciana. Continua ad aprirsi, appunto, a nuove possibilità plastiche e linguistiche. Lo abbiamo visto dalle ultime sue immagini "Le porte" (prospettive di un futuro svilupo) e nei "Gruppi spaziali" (i più problematizzante e aperti a nuovi valori).
E evidente che Beatrice Cazzaniga ha fuso la sua radice espressionista con una semantica del simbolo. E in questo senso deve essere situata nello spazio assiologico della attuale "scultura simbolica". Una delle tendenze plastiche che si nutrono infatti, di contaminazioni espressioniste e la unisce del suo linguaggio con la pluralità del simbolo.
Questa rivisitazione di Beatrice Cazzaniga (una reinterpretazione di precedenti e importanti fonti estetiche) ci permette di collocarla en questa dimensione di valori nel "parallelismo interattivo delle ricerche", che ho definito anni fa "avanguardia ciclica" come concetto estetico filosofico della presente ciclicità dell'arte.

Pedro Fiori
Milano, Italia, 1991.
Rivista d'Arte "Guadalimar"
Madrid, Spagna


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Alla bottega
Bivista bimestrale di cultura ed arte
Anno XXXII - n. 2 marzo - aprile 1994
MOSTRE - a cura di Gianni Pre

Il Centro de Promozione Argentina di Milano ha riproposto, a distanza di tre anni, la scultrice italo - argentina Beatriz Cazzaniga. Rispetto alle acuminate e crude sculture di allora, soprattutto legate al tema "Apocalisse" di decisa aderenza alla contradditorietà della storia recente, disseminata di orrori, di genocidi, di lotte, in questi nuovi lavori la Cazzaniga si è raddolcita, si è fatta più pacata. Alle forme aguzze, dove uomo ed ambiente rimanevano fusi in un unico tessuto di pieni e di vuoti dalle connotazioni al limite dell'informe, ha sostituito modulazioni ondulate, sinuose, come nella serie delle "Porte" in cui le figure umane si presentano simili ad orme, stampi quasi, talvolta silhouettes. Ci è parso che l'artista abbia cercato di ripercorrere gli strozzati tragitti della storia dell'uomo: dalla notte dei tempi ad oggi; per ritrovare le radici ancestrali delle antiche lotte, dei soprusi, delle speranze di un'umanità che lentamente, faticosamente ha edificato la struttura del mondo in cui viviamo.

Forse è per questa ragione, che i protagonisti delle sue essenziali sculture hanno l'indistinta sembianza dei fossili mnèstici di un graffito storico collettivo. Non appartenendo all'inmanenza, non possono sprigionare più disperazione, furia, tenacia...

Sono soltanto tracce che ci fanno intuirle loro remote vicissitudini. Sta a noi, pertanto, evocare la loro sostanza vitale della quale siamo intessuti e che ci appartiene.

Beatriz Cazzaniga ha pure iniziato un ciclo di opere in terracotta dall'andamento armoniosamente astratto, ma sono ancora pezzi in via di sperimentazione, è preferiamo aspettare di vederne un numero più consistente per pronunciarci in merito.


Recensioni

Docente Universitaria al Dipartimento d'Arte dell'Università di Tucumán (argentina), la Cazzaniga, che è di origine lombarda, espone una serie di piccole sculture e disegni preparatori.

Le figure smembrate, contorte, aggrovigliate, stilizzate, danno la sensazione di trovarsi dinanzi a soggetti - simboli della solitudine dell'uomo. Un effetto sorprendente reso con sorprendente maestria dove l'elemento evocativo diventa surreale e la fantasia gioca un ruolo di primo piano.

Sebastiano Grasso
Giornale: Corriere della Sera. 27 marzo 1982.
Milano, Italia.



Generazione del 70 in Tucuman (Argentina)

La mostra intitolata "Generazione 70", recentemente inaugurata nei saloni del Museo Provinciale di Belle Arti "Timoteo Navarro", della città di Tucuman condivide a grandi linee i postulati direzionali che distinguono la produzione artistica de quella decada nel paese. È interessante nonostante la mostra non appare in un ordine sistematico o cronologico, vedervi riunite la opere di 37 artisti con lavori nel campo della pittura, del disegno, la scultura, la fotografia, l'incisione e la ceramica, abborracciati o inserti in un lasso storico di tempo che in quella decade, segna l'impronta della sue opere.

È vero che in quella decade inizia, o forse fu già iniziata qualche anno prima, più precisamente nel 1966, un periodo che avrebbe condizioni speziali per l'espressione culturale e socio - politica in generale. Anni di frustrazioni, repressioni, ingiustizie, coartazione della libertà pubbliche e individuali, ciò che è più grave, scomparsa della vita umana in innumerevoli casi. Questo basterebbe per segnare un quadro situazionale abbastanza chiaro, dove l'artista deve sopravvivere e allo stesso tempo continuare la sua opera creativa.

In quest'esposizione non potrei segnalare che, dentro il panorama dei pezzi esposti, appaia un'oppressione od un clima di torturante tensione. Mi sto riferendo alle opere lì esposte e non alla totalità dei lavori che questi artisti abbiano realizzato in quegli anni, molti dei quali non conosco.

Ciò che è evidente è che l'elemento figurativo predomina nella maggioranza dell'esposizione. Credo che quella scelta per la figurazione opera come una necessità interna di riferirsi all'essere umano ed ai suoi conflitti, in un momento speciale in cui il protagonismo di esso veniva discusso da tutto un apparato repressore. Molti di questi artisti hanno scelto lo stile emigrarono in altri paesi o si stabilirono in altre città, come Buenos Aires. Ancora oggi, parecchi continuano a sviluppare la loro opera fuori di Tucuman, preferibilmente in Europa. Questo vuole anche dire che l'allontanamento è a volte un condizionamento delle possibilità dell'intendimento. Quando prendiamo distanza, quando vediamo il teatro dei nostri spettri allontanati, solo allora possiamo incorporarli e lavorare con essi come fossero realtà.

La mostra ha una parità abbastanza accettabile, sebbene non siano tutti rappresentanti con le loro migliori opere. Questo avviene in tutte le esposizioni collettive, ma non perciò non si può apprezzare la solidità dei lavori come quelli di Anibal Fenández, Guillermo Storni, Raúl Ponce, in disegno, o di Luis Debairosmoura in disegno e pittura; di Nicolas Amoroso, Donato Grima, Vicente Ezio Medici, Dedé Chambeaud, Eugenia Juárez e, soprattutto, Ramos Gucemas, in pittura; voglio qui rivendicare il nome di Maru Coviello, in cui l'insegnamento di Timoteo Navarro, Lusnich e Linares, sono notevoli antecedenti di solidità e maturazione del colore e del clima di quelle immagini di un Tucuman riconoscibile nella sua gente e l'autenticità dei paesaggi urbani o meno.

...In incisione appaiono anche -in una sezione abbastanza pari- Lía Rojas Paz, ilustratrice molto buona, Ramón Durán, e la tecniche veramente notevole di Rosa Morant, deceduta nel 1989. È scarsa la presenza astratta, salvo Roberto Alonso o un Juan Vallejo che si presenta qui incorrendo per una figurazione di tecniche vicine al puntinismo, di rilevanti dimensionali e chiara immagine.

Finalmente, si devono mettere in rilievo per la loro indubbia fattura artistica le fotografie di Tito Mangini, o pure gli scarsi cultori nel campo della scultura, Hugo Ylian, Miguel Angel Giménez, e Beatrice Cazzangia, quest'ultima di riconosciuta fama nei saloni del paese, all'estero e nelle gallerie di Buenos Aires.

Infine, credo che quest'esposizione determina che i partecipanti della decade del '70 di Tucuman, hanno scelto la figurazione come elemento determinante delle immagini, cingendosi a conformazioni diverse di trattamento plastico e messe a fuoco tematiche da dove si osserva come preoccupazione virtuale o costante relazionale il loro interesse per l'interno e i loro abitanti.

Una necessità primordiale di ristabilimento di un umanesimo che centrasse i loro conflitti e i loro deficit di consapevolezza del vivere. Quelle carenze sembrano rimanere superate tanto quanto molte delle loro opere attuali, esiste una tendenza verso un'apertura maggiore alla forma, le linee, il colore, una scioltezza di immagini e una stimolante esporazione sensitiva. Tutti segni di una maggiore libertà e di una migliore aspirazione espressiva.

Raúl Vera Ocampo
Critico d'Arte
Conferenze en Museo Provinciale di Belle Arti "Timoteo Navarro
Tucumán, Argentina, Nov. 1992
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