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Questo articolo "Strumenti verbali ed iconici nella scrittura poetica italiana", di Pietro Favari è stato pubblicato sul n. 70 della rivista D'ARS (luglio 1974) e riedito per il catalogo della mostra:

"Oltre la parola"
presentata alla galleria Il Salotto di Como nel maggio 1975
.

"Naturalmente, essendo nato come articolo e non come presentazione per una mostra collettiva, - ha tenuto a precisare Favari per l'occasione - questo testo rivela numerose lacune rispetto alla mostra stessa. Infatti l'articolo, intitolato appunto intendeva esaminare l'uso che dei segni verbali e non verbali viene fatto da alcuni artisti italiani in funzione di scrittura poetica visuale operando delle scelte, necessarie anche per motivi di spazio, non certo per stabilire delle scale di valori o per istituire discriminanti ma unicamente per fare delle esemplificazioni. Pur non avendo la pretesa di competere per completezza e precisione con la mostra "Scrittura visuale in Italia dal 1912 al 1972" organizzata da Luigi Ballerini nell'ottobre del 1973 alla Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino, nell'ordinare questa collettiva si è reso necessario integrare i nomi citati nell'articolo con nomi altrettanto importanti per avere una panoramica più esauriente degli artisti che operano "oltre la parola".

Strumenti verbali e iconici nella scrittura poetica italiana
dal 1895 ad oggi
di: Pietro Favari

Il 7 luglio 1895 l'edizione domenicale del quotidiano di Joseph Pulitzer "New York World" pubblica per la prima volta Yellow Kid, un personaggio creato dal disegnatore Richard Felton Outcault e che viene unanimemente considerato il primo esempio di narrativa a fumetti. Il 28 dicembre 1895, al Salon Italien del Grand Café di Parigi, Louis Lumière organizza la prima proiezione cinematografica pubblica. Verso la fine del secolo scorso dunque due avvenimenti succedutisi a distanza di pochi mesi, con una di quelle coincidenze più significative che casuali, identificano le premesse per quegli sviluppi che nel corso del nostro secolo hanno determinato l'affermarsi della cultura di massa e di quella che una espressione ormai inflazionata ha definito la "civiltà dell'immagine". I mass-media hanno quindi una storia relativamente recente non certo causata, se si eccettua il cinema, da motivi esclusivamente tecnologici. Le tecniche di riproduzione grafica sono infatti anteriori alla nascita del fumetto o all' affermarsi della cartellonistica pubblicitaria e non mancano certo esempi più antichi di cultura popolare affidata alle immagini, dalla Biblia Pauperum, alle Images d'Epinal. La nascita dei mass-media in un così circoscritto periodo storico e il fatto di essere caratterizzati dal netto prevalere dell'immagine si inquadra quindi in un contesto più generale di crisi della parola come veicolo privilegiato di cultura (è da notare che Mallarmé pubblica "Un coup de dés" nel 1897). Non a caso sia il cinema che i comics trovano agli inizi il terreno più fertile per il proprio sviluppo negli Stati Uniti, dove cioè meno forte era una tradizione di tipo letterario e umanistico e più forte al contrario la necessità per il capitalismo americano di fornire una identità culturale unitaria, affidata alle immagini più che alle parole, alle classi subalterne di provenienze e tradizioni estremamente eterogenee: negri. immigrati italiani, polacchi, irlandesi, ebrei, ecc., accomunati comunque dal fatto di rappresentare i destinatari di messaggi pubblicitari e di modelli ideologici imposti dalle classi dominanti. Da una parte il perfezionamento di strumenti tecnici come la stampa, il cinematografo, i dischi, la radio, la televisione ha permesso una più estesa riproducibilità ed economicità della cultura di massa e quindi di una sua più vasta e capillare diffusione fino a istituirsi in una vera e propria industria. Dall'altra parte, la necessità per il sistema capitalistico di vendere le sue merci, tra cui la propria ideologia, ad un pubblico sempre più numeroso ha determinato l'impiego di tecniche di persuasione maggiormente elaborate e perfezionate. Questo complesso di cause ha provocato una trasformazione profonda rispetto al concetto tradizionale di cultura come espressione di classi sociali antitetiche: una cultura accademica, "ufficiale", gratificazione della classe dominante; una cultura popolare, spesso clandestina, portavoce delle sofferenze e delle ribellioni delle classi emarginate. La cultura di massa tende invece alla creazione di una sorta di pace sociale all'interno di istanze culturali opposte: destinata al proletariato e al ceto medio, essa è apportatrice di valori e di contenuti prescelti dalla borghesia che gestisce i mezzi di produzione della industria culturale, e la marca anche con un'impronta formale e stilistica. La crescita e l'affermazione dei mass-media non poteva non esercitare anche sulla Cultura con la "c" maiuscola la sua influenza, corruttrice o benefica secondo ottiche critiche diverse, che Umberto Eco ha sintetizzato nel titolo di un suo libro del 1964, "Apocalittici e integrati". Crisi dunque del predominio culturale della Parola intaccato dalla azione dell'Immagine accattivante e superficiale, imposta aggressivamente dalle molteplici metamorfosi della cultura di massa: fumetti e cinema di evasione, fotoromanzi, rotocalchi. pubblicità, fotografia. televisione. ecc. Anche la poesia, massima sublimazione della parola, cadute le antiche ripartizioni in "lirica , "epica", "drammatica" e i caratteri distintivi nei confronti della prosa (le rime, la metrica, i versi), ha finito per assumere nelle proprie strutture dapprima la dimensione visuale ed infine l'immagine stessa. Non a caso in Italia l'interesse dei poeti per la componente visuale della poesia corrisponde a due periodi di evoluzione sociale, economica e politica del paese. Il primo momento. quello del paroliberismo futurista, rappresenta la volontà di uscire dai confini ristretti della cultura provinciale dell'epoca giolittiana, di adeguare l'espressione artistica alla morfologia della civiltà industriale verso cui anche l'Italia si andava evolvendo da una condizione economica prevalentemente agricola. Scrive Marinetti nel "Manifesto tecnico della letteratura futurista" de11912: "In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell'aviatore, io sentii l'inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando! Ecco che cosa mi disse l'elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaioli di Milano: l'elica soggiunse: Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso. come nascono". La distruzione della sintassi e la disposizione casuale dei sostantivi proposta da Marinetti introduce il concetto di lettura simultanea non lineare della pagina, mediato dalla pittura, e indica la dimensione visiva come linea di sviluppo per la ricerca poetica. L 'intendere da parte dei futuristi la tecnica come matrice di un nuovo modo di fare cultura, in completa frattura con la tradizione, viene infatti espresso non solo a livello di individuazione di nuove tematiche. ma soprattutto come ricerca formale, come "scrittura" che sia registrazione visiva di una serie di componenti, come movimenti, suoni, intensità, direzioni. colori, valenze semantiche, immagini, espresse attraverso metagrafie inventate o ricavate da simbologie tecniche e scientifiche. Particolare interesse dedicano i poeti futuristi alla scelta e alla disposizione degli elementi tipografici, accostati con variazioni continue di carattere, di dimensione, di direzione, di colore, creando una sorta di identità formale tra significante e significato. anche se in funzione ancora naturalistica. Ad esempio, in "Fumatori" di Francesco Cangiullo, pubblicato nel 1914 su "Lacerba", è descritto un viaggio notturno in treno per mezzo della disposizione delle parole (la collocazione delle valigie sulla reticella viene riflessa nella parola "bagagli" stampata diritta. rovesciata. inclinata), sia di onomatopee per visualizzare i suoni (il rumore della pioggia), sia di alterazioni tipografiche (la parola "fumare" che si dilata come fumo).Altri poeti inseriscono il disegno nella poesia, come Corrado Govoni in "Camera sentimentale" da "Rarefazioni e parole in libertà" del 1915, una specie di "salotto di Nonna Speranza" rivisitato con l'ausilio di disegnini infantili. L'incontro della poesia italiana con la dimensione visuale si ripropone in coincidenza di un altro avvenimento di rilevanza politica e sociale, il miracolo economico dei primi anni Sessanta. Piccola e media borghesia italiana scoprono le delizie rateizzabili profuse dalla cornucopia del "boom", tra cui appare la Divulgazione Culturale dispensata democraticamente attraverso le edicole e la vendita "door to door" dai Fratelli Fabbri. Travolti dalla virulenza epidermica della pubblicità e dei mass-media, alcuni intellettuali italiani abbandonano crociane disquisizioni tra poesia e non poesia per occuparsi di Diabolik e di Carosello. Ricollegandosi alle esperienze del futurismo, si ripropone una poesia che tenga conto del valore iconico della comunicazione, non potendo essere ignorata la rilevanza del fenomeno di commistione tra parola e immagine operato dalla opulenza segnica della cultura di massa, spesso in una quasi assoluta e inscindibile identità formale. Il problema che si propone la poesia visuale italiana non è certo quello precipuo di demistificare gli stilemi creati dalla pubblicità, dai rotocalchi o dai fumetti, problema che ha interessato, negli stessi anni, alcuni aspetti della Pop Art. L'impegno della poesia visuale nell'ambito della cultura italiana si può riassumere in due posizioni a cui corrispondono due diverse linee di tendenza: nel primo caso l' individuazione e l'allargamento delle aree semantiche, potenzialmente comprese all'interno del linguaggio stesso, mediante la ricerca di nuovi materiali espressivi, grafici, materici, iconici; nel secondo caso l'indagine si propone una decodificazione e un uso alternativo, politico, dei linguaggi iconico-verbali elaborati dai mass-media, smontati come un meccanismo di cui si voglia render manifesto il funzionamento. All'interno di questa contrapposizione, fin troppo schematica la collocazione delle posizioni dei singoli operatori o dei gruppi è assai più complessa ed elaborata, tanto che sembra più giusto articolarle secondo il tipo di materiale segnico utilizzato, tenuto anche conto che ciò che accomuna tutte le esperienze è l'uso cosciente in funzione poetica di qualunque tipo di segno, sia esso verbale o non verbale, organizzato secondo nuovi codici o alterando quelli preesistenti, facendo interagire tra loro segni tratti da codici non omogenei. Partendo dal segno più immediatamente riconoscibile come tale, quello grafico-verbale, è già necessario attuare una prima distinzione tra gli operatori che agiscono con / sulla scrittura tipografica e quelli che agiscono con / sulla scrittura manuale. Tra questi ultimi, Vincenzo Accame usa la calligrafia in funzione di semplice denotazione di scrittura, senza varcare la soglia della significazione comunemente intesa, in quanto è la scrittura stessa, usata nella sua globalità, che si fa segno. Le sue scritture visuali, che conservano tuttavia ambiguamente un certo grado di leggibilità, si strutturano nello spazio loro assegnato (pagina, quadro?) con andamenti lineari o circolari secondo schemi rigorosamente geometrici; generando quadrati, cerchi, iperboli, circonferenze: come ulteriore componente espressiva spesso interviene il colore dell'inchiostro o l'uso dei caratteri a decalco. Accame ha esteso le sue ricerche sulla scrittura all'ambito del libro, sviluppando anche in campo tipografico l'identificazione della scrittura intesa come totalità significante. Martino Oberto si avvale sia della scrittura manuale sia di frammenti di citazioni ricavate da rotocalchi e quotidiani per l'analisi filosofica che va conducendo sul linguaggio. In una recente mostra alla galleria "Mercato del sale" di Milano OM, come Oberto si firma, ha esposto in una serie di opere una specie di "summa" del suo lavoro dal 1955 ad oggi. In esse sono registrati per mezzo della scrittura manuale i suoi interessi per la poesia di E.E. Cummings ("E.E. Cummings 277°", V), per Joyce di cui trascrive manualmente l'inizio del capitolo riferito a Proteo nell'"Ulisse") per poi ricoprire la scrittura, gesto su gesto, con una patina di acrilico bianco che la lascia appena intravedere ("ineluttabile modalità del visibile", 1959), per Dos Passos di cui ricopia il preambolo a "Il 42° Parallelo') e lo inserisce in un contesto di segni calligrafici al limite di una indecifrabilità gestuale ("42° parallelo: queste bufere sono state argomento di un inesauribile interesse in ogni ricerca metereologica americana intorno", 1961) .Oberto definisce la sua scrittura "ANAGRAFIA", un segno composto di vari segni, come una parola, privi però di una lettura fonica e affidati quindi ad una lettura esclusivamente visuale. Nelle opere più recenti OM sovrappone alla sua scrittura autocitazioni a stampa desunte da "Ana Etcetera", la rivista di OFF KULCHUR che dirige insieme con la moglie Anna ("pittura analitica / incondizionalità per ogni senso", 1959 e 1962) e registrazioni di avvenimenti privati (lettere di amici, letture, lavori di amici e non, ecc.) che monta insieme a riporti di avvenimenti pubblici tratti dalla stampa quotidiana e a rotocalco sul suo "Journal Anaphilosophicus", una sorta di diario pubblico-privato che registra su "Ana Etcetera". La scrittura manuale è stata usata anche dal pittore Gastone Novelli, morto a Milano nel 1968, colta nell'estasi metabolica al limite del suo farsi pittura. Le opere di Novelli, studioso anche di etnolinguaggi, sono una contemplazione della nascita ancora informe dei segni, del loro arricchirsi di valori semantici nuovi, rivoluzionari. Più direttamente collegata al Futurismo è l'operazione condotta dalla poesia concreta sulla scrittura e suIla pagina intesa come spazio dell'evento poetico. Iniziato da Carlo Belloli già negli anni '40 il concretismo poetico si ricollega, anche nel nome, alla pittura concreta e alle esperienze di poesia condotte in campo internazionale dallo svizzero Eugen Comringer e dal gruppo brasiliano "Noigandres", fondato dai fratelli Augusto e Haroldo de Campos e da Decio Pignatari. Belloli lavora sulla costruzione tipografica della poesia, cercando una correlazione linguistica e ottico-spaziale, affidata ad una collocazione non casuale; ma organica delle parole, secondo condizionamenti imposti dalle scelte lessicali in strutture tipografiche il cui ritmo sposta all'area visiva la funzione di musicalità auditiva dell'antica metrica. In Italia il lavoro di Belloli sul segno tipografico è stato ripreso da Arrigo Lora-Totino che nel 1966 ha curato il numero unico della rivista "Modulo" interamente dedicato alla poesia concreta internazionale e, in parte, da Franco Verdi e da Adriano Spatola. Nella serie degli "Zeroglifici" eseguita nel 1966 Spatola tende appunto ad un grado zero della scrittura attraverso il totale annullamento della carica semantica del segno tipografico reso illeggibile, ma non irriconoscibile, da tagli, frammentazioni, dispersioni, asportazioni, sovrapposizioni, delle singole lettere. In questo filone si situano anche le poesie di Patrizia Vicinelli e di Giovanna Sandri. All'opposto di queste posizioni si collocano le operazioni condotte da Nanni Balestrini ("Per una soluzione", 1962) assemblando titoli di giornali, frammenti di frasi estratte dal proprio habitat contestuale. La sovrapposizione di messaggi tra loro estranei raggiunge un effetto di estrema ridondanza che, se da un lato si avvicina anch'essa ad un grado zero di comunicazione, dall'altro permette al fruitore una nuova e personale lettura del testo attraverso la selezione e la decantazione dei segni. L'interazione dei messaggi provenienti da contesti differenti si arricchisce ulteriormente con l'immissione di segni appartenenti ad altri universi semantici. E' il caso di "Stima di Corrado D'Ottavi e colori solidi e una cromologia e così avanti a rubare il mestiere ai filosofi" di Corrado D'Ottavi, pubblicato nel 1960 sul numero due di "Ana Etcetera". In questo collage "frasi di colore" si compongono con frasi verbali, ottenendo risultati che trascendono una funzione naturalistica o puramente decorativa. Un'ulteriore esemplificazione viene proposta dal discorso sulla "scrittura simbiotica" condotto dalla rivista "Tool" fondata nel 1965 da Ugo Carrega con la collaborazione di Rodolfo Vitone, Lino Matti, Vincenzo Accame, Rolando Mignani, Liliana Landi. Scrive lo stesso Ugo Carrega su "Il Bimestre" del gennaio-aprile 1972: "Il discorso della scrittura simbiotica (ossia un interlinguaggio al quale partecipano con reciproca azione segni di diversi linguaggi - il fondamento è in questa simbiosi, in questa interazione reciproca dei segni) si basava su di un'analisi della pagina a stampa (per il reperimento degli elementi base che la componevano) e l'utilizzazione di questi segni per una comunicazione non finalizzata utilitaristicamente". Parallelamente Carrega elabora con la "poesia materica" un ampliamento del concetto di linguaggio mediante l'utilizzazione di materiali extralinguistici. "Piccola Liguria".del 1968 è un poema materico in cui un sasso e un ramo posti su una base di legno colorato con la loro "fisicità" assumono una carica semantica inedita che mette in evidenza la potenzialità della materia come segno, sottolineata dalla vicinanza di parole evocative ("coro", "eco", "ulivo", "farfalle", "conchiglia", "spiaggia", "sciacquìo", "mare") scritte con i letraset. Il discorso materico viene sviluppato da Rolando Mignani con ulteriori implicazioni di ordine simbolico. Tra i segni non verbali sperimentati dalla poesia visiva i maggiormente utilizzati sembrano comunque essere tuttora quelli appartenenti all'ambito iconico, sia per la ricchezza e la complessità dei codici a cui rimandano, sia per le implicazioni socio-culturali che evidenziano. Tra i principali esponenti di questa tendenza sono gli appartenenti al Gruppo 70, fondato da Lamberto Pignotti e da Eugenio Miccini già aderenti al Gruppo 63, i quali rivendicano per la poesia visiva l'uso del linguaggio prodotto, come un "neovolgare", dall'èra neocapitalistica, tecnologica, (da cui il nome " poesia tecnologica") e di cui ampiamente si servono i mass-media. L'intento è duplice: da una parte la necessità della poesia visiva di fare uso di un linguaggio immediato e largamente riconoscibile, un "neovolgare" appunto, per coinvolgere un pubblico il più vasto possibile e non limitato socialmente o culturalmente; dall'altra l'impegno di rovesciare i contenuti della comunicazione di massa, di rispedire al mittente il messaggio del padrone", per usare una frase di Pignotti, scatenando una vera e propria guerriglia semiologica. Inizialmente i poeti tecnologici (oltre ai già citati Miccini e Pignotti, ricordiamo Lucia Marcucci, Luciano Ori, Ketty La Rocca, Michele Perfetti) si sono serviti soprattutto del collage, così come il gruppo che fa capo alla rivista napoletana "Linea Sud", montando icone ricavate dal repertorio della mitologia creata dalla cultura di massa con slogan pubblicitari, frasi e titoli di quotidiani o di rotocalchi. Segni iconici e segni verbali vengono trattati dalla poesia tecnologica a livello paritetico, evitando forme di subordinazione della parola all'immagine o viceversa. E' evidente il rimando al tipo di percezione sincronica della parola e della immagine a cui ci abitua la video-Iettura dei cartelloni e dei manifesti pubblicitari, del cinema, della televisione, dei giornali, dei fumetti. proponendo una contropubblicità, un controgiornale, un controfumetto, ecc. Il linguaggio dei fumetti è stato analizzato soprattutto da Lamberto Pignotti, sia per quanto concerne la struttura narrativa e sintattica, sia per le convenzioni grafiche che i comics hanno introdotto nell'uso comune, come le nuvolette o "balloons" che racchiudono le battute dei personaggi. Nelle opere tra il 1966 e i11968. ad esempio "Di scena il peggio" e "Confezione di inganni" entrambe del 1967. Pignotti utilizza gli elementi linguistici precipui del fotoromanzo e del fumetto, come vignette e "balloons", montandoli sullo sfondo di un'immagine scelta come contrasto con quelle inserite nella sequenza dei fotogrammi. Spesso le vignette sono prive di immagini, le nuvolette sono vuote o con le parole rese illeggibili da cancellature, immagini e scritte si sovrappongono; la comunicazione viene dunque disturbata da una serie di interferenze segniche che rappresentano quella che Pignotti definisce "I'incomunicabilità di massa" provocata dalla massa delle comunicazioni che rende indecifrabili i singoli messaggi delle comunicazioni di massa. In altre opere dello stesso periodo, come "Storie!" del 1966 e "Viet-Nam" del 1967, sono i personaggi della araldica dei francobolli (l'Italia turrita, Giordano Bruno, Washington, Beethoven, Benedetto Croce, la regina Elisabetta, ecc.) a servirsi, con un singolare e inedito accostamento logoiconico, del "balloon" per esclamare frasi spesso di una banalità sconcertante, sottolineata peraltro dalla ufficialità e dall'autorevolezza storica o simbolica dei notabili effigiati. Dopo i francobolli e le foto colorate e patinate dei rotocalchi è la volta, nelle opere più recenti, delle foto retinate e "brutte" dei quotidiani di diventare oggetto degli interventi di Pignotti, il quale, dopo averle tolte dal loro abituale contesto e private della consueta didascalia, ne rende ulteriormente difficile la lettura cancellando i volti delle persone effigiate. per evidenziare l'anonimato della quotidianità, o incorniciandole e scrivendoci sopra "Souvenir" con antiquata calligrafia, per mettere in rilievo il processo di invecchiamento e di immediata storicizzazione a cui è sottoposta oggi l'immagine di cronaca. L'impressione di obsolescenza viene accentuata anche dal retino tipografico e dal grigiore del bianco e nero delle foto dei quotidiani che rimanda alle antiche incisioni o alle vecchie cartoline. Se Pignotti sfrutta il linguaggio dei fumetti ai fini della guerriglia semiologica, Eugenio Miccini fa altrettanto con i rebus dei settimanali enigmistici. I suoi rebus sono però malignamente congegnati per dare soluzioni come "La rivoluzione tradita", "Morte ai razzisti", "Battaglia antifascista", "Bandiera rossa trionferà", "Manifestazione di violenza", impensate per un innocuo passatempo solitamente praticato da uscieri, viaggiatori ferroviari annoiati, tranquilli pensionati. Al di là del divertissement, l'operazione di Miccini vale soprattutto come spettacolare dimostrazione di possibile inversione del segno anche per l'iconografia più consueta e banale. Operazione resa ancor più sottile e allusiva dal fatto che nelle regole di gioco del rebus il significante verbale, combinandosi col significante iconico, ne altera il significato e insieme producono un nuovo significato, diverso e occulto. L'ironia determinata dallo stravolgimento semantico viene applicata anche ad un linguaggio assai lontano dai giochi enigmistici come quello dei grafici e dei diagrammi, feticci tecnologici, come li definisce Miccini, ai quali restituire la loro perduta umanità estraendoli dal loro universo freddo, logico, cinico. Trattandosi di linguaggi scientifici, ancorché visuali, lo stravolgimento diventa in questo caso dimostrazione esemplarmente emblematica della non neutralità della scienza. Con il "Piano regolatore insurrezionale della città di Firenze" pubblicato nel 1972, Miccini produce, forse, la sua opera migliore, concretizzando il proprio impegno civile e politico di intellettuale rivoluzionario in una metafora poetica di grande tensione emotiva. Sulle posizioni barricadiere di Miccini e Pignotti troviamo anche Sarenco, animatore del mensile "Lotta Poetica" e operatore culturale estroverso e dotato di un notevole senso dello spettacolo. Ne fanno fede sia le azioni eseguite in pubblico, come i poemi gonfiabili e le trascrizioni di classici della poesia, sia il costante processo di identificazione tra il far poesia e l'evento autobiografico che Sarenco attua rendendo pubbliche la propria infanzia ("Non eravamo poeti", 1971), la corrispondenza privata ("Gianni Bertini a Sarenco, 20/9/1971", "L'amico Bory mi scrive ...", 1971), l'impegno di militante politico (la schedatura del capo della squadra politica di Brescia, della serie "Identificazioni politiche", 1971 e le conseguenti disavventure ("Materiale cartaceo sequestrato dai carabinieri al poeta Sarenco", 1972). Questa coincidenza tra poesia e poeta evidenzia il suo impegno politico come componente persistente e inscindibile del suo impegno poetico, che Sarenco applica ai mass-media con un fervore iconoclasta da rivoluzione culturale. E' il caso delle opere più recenti, in cui l'ironia dissacratoria nasce dallo scrivere frasi rivoluzionarie come "Avanti popolo alla riscossa!", "Il popolo è forte, armato vincerà", oppure frasi fatte come "No reproduction, please", "l familiari delle vittime sono stati avvertiti", scritte con grafia da maggio francese sui classici dell'arte, da Giotto a Morandi, ornamento dei salotti microborghesi sotto le più disparate incarnazioni, dai volumi in similpelle e quadricromia ai coperchi delle scatole di cioccolatini, dai sottobicchieri alla pubblicità kitsch (che più kitsch non si può). L'accostare connotazioni distanti come quelle suggerite dal segno iconico (i classici dell'arte) e dal segno verbale (le frasi fatte) accentua ironicamente il processo di banalizzazione a cui viene sottoposta l'arte da parte dell'industria culturale. Serve inoltre come modello di comportamento per il fruitore; il rimario del poeta-guerrigliero può infatti limitarsi ad un pennarello con cui imbrattare le Sacre Immagini della cultura di massa con frasi demistificatorie. Se il collage usato dai poeti tecnologici identifica il far poesia con l'accumulazione dei segni, per Emilio Isgrò il far poesia coincide con una operazione inversa, antitetica. Le sue operazioni si ricongiungono coerentemente nel comune denominatore costituito dall'uso della metafora della sottrazione; sia nelle "cancellature" di libri ed enciclopedie, sia nelle poesie, come ad esempio "Jacqueline (indicata dalla freccia) si china sul marito morente" del 1966, in cui l'immagine, universalmente diffusa dalla stampa e dalla televisione e ampiamente caricata di connotazioni emotive, viene evocata non dalla foto di cronaca (come fa invece Andy Warhoh), a cui si sostituisce l'uniforme fondo grigio del retino tipografico, ma dalla didascalia promossa dalla sua abituale funzione subordinata di commento. La "cancellatura" o "sottrazione" diventa quindi uno strumento di scrittura, di comunicazione linguistica, non limitandosi alla demistificazione della cultura massificata; la "cancellatura" viene infatti eseguita parzialmente su reperti dell'industria culturale (libri a grande tiratura, immagini dei quotidiani) come su preziosità da bibliofilo (costose enciclopedie, antichi e rari volumi) , non essendo il referente, sia esso più o meno nobile, ciò che sta a cuore a Isgrò ma il "modo" di operare su di esso. In una sorta di volontario olocausto Isgrò arriva a "cancellare" anche se stesso, negando la propria identità ("Dichiaro di non essere Emilio Isgrò", 1971). Più recentemente ("La Q di Hegel ed altri particolari" , 1972) Isgrò isola nello spazio della tela un particolare ingrandito o una lettera estratti dal loro contesto. Ancora una volta si tratta di una "cancellatura". In questo caso sono i contesti iconici e verbali ad essere negati; attraverso l'essenza se ne recupera l'integrità semantica. I segni fin qui analizzati appartengono ad una sfera di "ufficialità", l'emittente essendo la cultura di massa o l'operatore poetico stesso. Nel caso di Franco Vaccari i segni usati in funzione di scrittura poetica appartengono invece all'ufficiosità, all'anonimato (graffiti murali, scritte sulle ingessature) "signes trouvés" che il poeta individua per mezzo della fotografia e rimette in circolazione arricchiti di nuovi significati. E' evidente in Vaccari un interesse di tipo antropologico per i segni emessi quasi inconsciamente dall'uomo e che si spinge sino all'indagine zoosemiotica sui modi della comunicazione animale ("I canti di richiamo del grillo di campo, il Teleogryllus commodus"). Il processo di coinvolgimento del fruitore come partecipante attivo e determinante dell'evento poetico, evidenziato da Vaccari, propone alla poesia visuale una nuova e problematica dimensione, suscettibile di ulteriori sviluppi come elemento attivatore della creatività collettiva. (Pietro Favari)


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