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Pittorica Mente
incontro con l'altra realtà


a cura del CRT di Luino Palazzo Verbania
Luino - 1999
6 pp. cm 30 x 21
ill. col.

 

 

 

 

 

 

 

"Se altri non fossero stati folli, noi dovremmo esserlo" questa la citazione da William Blake posta in apertura dell'unica, smilza testimonianza della splendida mostra "Pittorica Mente - incontro con l'altra realtà", tenutasi a febbraio 1999, presso il Civico Istituto di Cultura di Luino, -VA- coordinata dal dott. Riccardo Bianco, coadiuvato da Riccardo Petrella, Alessandra Rossi, Domenico D'Oora. L'esposizione presentava unicamente opere provenienti dal circuito psichiatrico in particolare da "materiangelica" laboratorio del Centro Residenziale di Terapie Psichiatriche e di Risocializzazione- Fondazione Macchi, Unità Operativa di Psichiatria n.1 Cittiglio-Luino, dal Centro Sperimentale sulla Creatività di Orino, dal Dipartimento di Salute Mentale asl 14- Verbano Cusio Ossola, dal club 74 dell'Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale di Mendrisio, con la collaborazione dell'Associazione Difesa Ammalati Psichici di Varese. La mostra ha consentito, un'opportuna messa a fuoco delle singole individualità espresse, e di cui alcune sono emerse come particolarmente definite da tematiche, espressività e modalità tecniche costanti, tali da circoscrivere il manifestarsi, anche se transitorio e forse per questo molto più significativo, di inconfondibili personalità. Nei percorsi dei pazienti di "materiangelica" -"gli uomini si precipitano in quei territori in cui persino gli angeli esitano ad avventurarsi " G. Bateson- del CRT di Luino, promotore della mostra, risultato dell'attività del laboratorio di pittura, non finalizzata all'apprendimento di tecniche o all'acquisizione di nozioni enciclopediche, piuttosto libero incontro e individuazione di un proprio percorso d'espressione e che, nelle singole sedute di lavoro, per più di un caso si è constatato che si è trattato di una non esigua possibilità d'esternare e vedere divenire concreto un proprio separato vissuto che, trovando un supporto, una conferma, visiva e materiale, ha consentito una propria, possibile, non indifferente, opportunità di comunicazione e affermazione con il mondo. Così per Ivano Dellea che disegna e dipinge sempre scabre figure rettilinee, o meglio, ogni cosa, con l'aggiunta di tratti fisionomici schematizzati, diviene figura - volto e, così, si anima, e, spesso, sorride. Le figure, che sono definite unicamente da una semplice e netta linea - risultato di una faticosa, insistita e reiterata sovrapposizione - si allocano perpendicolarmente nello spazio, definendo "composizioni" ortogonali ai lati ed in regolare, notevole equilibrio di peso e misura. Le figurazioni realizzate da Ivano sono un'estrema, spesso una ripetuta, essenzializzazione di temi, che si prefigge di affrontare: che si tratti di una casa, di un battello, della propria stanza, da Ivano tutto è antropomorfizzato, in una moltiplicazione di cerchi orbitali, di prominenze arrotondate per setti nasali, di sorridenti - più raramente amorfe - fessure labiali, tutto prende la conformazione di un viso amico. Contrariamente alla viva espressività dell'aggregazione dei vari visi interni, i corpi, le figure, che li accolgono, nelle ridotte propaggini poste come arti superiori ed inferiori sono sostanzialmente mutili, così ridotti ad una qual sorta d'innocua, ma non per questa celata, impotenza. Le figure, le forme, sono sempre disposte frontalmente, a questi individui - sagoma quasi costantemente, nella zona apicale, vanno ad accumularsi estensioni lineari a raggiera, a griglia, ad antenna: forse davvero destinate a ricevere o trasmettere i messaggi di questi personaggi. Oppure Paola Stefani che sa o intuisce che dipingendo liberamente, si attiva non solo la parte cosciente di sé, ma anche quella nascosta e inconscia, e questo sembra impensierirla, forse le appare poco prudente, troppo spesso al punto di rifuggire i pennelli. Nel numero, purtroppo ancora esiguo, di opere che Paola ha sin qui realizzato, si evidenzia una propensione all'utilizzo del blu, colore che si vuole percorso da infinite vibrazioni, profondo, ma anche insondabile, il meno adatto a disvelare qualcosa di personale. Paola dipinge di getto, come in un attimo, con sicurezza estrema - quasi il dipinto già esistesse in un qualche luogo a lei accessibile, e non necessitasse, per vivere, della formante mediazione visiva del supporto e della materia pittorica- e in brevissimo tempo, porta la sua opera a definitivo compimento; Paola non dubita, non prova il normale senso di insicurezza che coglie chiunque voglia porsi di fronte ad una tela intonsa, non indugia, non prova sgomento dinanzi al vuoto dello spazio bianco che è lì da colmare con un qualcosa che ha sicuramente a che fare con noi stessi, e che sarà poi visibile da altri. La realtà che Paola di fatto, trasla sulla tela è già formata, totale, capace di sostituirsi completamente ad una più consueta, conosciuta realtà, ma è, quella che ci viene affidata, una realtà per noi inconoscibile. I ritmi lineari, le forme in mutazione, gli eventi cromatici, le concentrazioni, le astrazioni immediate, ed il connaturato, completo distacco da una realtà verosimile e riconoscibile, estesa al di fuori di noi, è, in essi, una ferrea logica, una verità; forse una volontaria misura di una separazione, di una cesura, certo un messaggio, una sintesi estremamente efficace: al punto da incrinare non poche certezze. O le opere di Carmen Calderoni, così simili a tanta giovane pittura contemporanea, caratterizzate dalla volontà di attuare una particolareggiata descrizione di una realtà; ne è tramite la linea, quasi che questa ne fosse lo scheletro, e la superficie, che, come una pelle, riveste gli spazi tra le strutture. La figurazione che ne consegue è molto attenta alla correttezza prospettica, alla resa di rapporti dimensionali e proporzionali di vicinanza e profondità, ma al contempo risulta essere molto distante da un qualsiasi intento realistico. Tale attenzione descrittiva, viene contemporaneamente quasi contraddetta da una rarefazione cromatica orientata ad una sommessa luminosità, a volte come scialbata da un tonalismo ridotto ad una scala essenziale. Il procedimento esecutivo è costantemente meticoloso e scrupolosissimo; n'è riscontro un uso mai tradizionale dei mezzi - per stendere, ma sarebbe piuttosto un depositare, la materia pittorica, il tramite di Carmen è un filo metallico anziché il pennello, una mediazione quindi molto asettica che attua un distacco, ed al contempo è personalizzazione estrema dell'oggetto espressivo e del messaggio dell'autore. Di particolare interesse anche le opere di Giancarlo Brusatore del Centro Sperimentale sulla Creatività di Orino, complesse associazioni di visionarie, allucinate, a volte beffarde figure antropomorfe, con elementi oggettuali e simbolici, che si relazionano fra loro sature di richiami ed echi dell'immaginario collettivo, artistico e favolistico; composizioni apparentemente inspiegabili, fluttuanti su lividi e corruschi sfondi: esile pellicola pittorica, in grado di gettare un ponte, di creare un aggancio con una realtà percepita in costante conflittuale evoluzione, nella più personale ed intima chiave di rilettura. Notevoli anche le opere di Carla Ballerini, Enrica Rigamonti, Maria Luisa Vanoli. Un'esposizione quindi che dai media forse non ha avuto tutta l'attenzione che avrebbe meritato ma che sicuramente ha contribuito favorevolmente all'impostazione di una corretta presentazione dei materiali e ad una non fuorviante fruizione anche per un più vasto pubblico. E' in ogni modo "significativa l'attenzione che attualmente, il circuito espositivo, dimostra alle diverse, libere esperienze, e dove il separato, il misconosciuto, può manifestarsi, affermarsi, riconoscersi. Nuovamente, dall'inizio del ciclo nel XVIII secolo, che vide la nascita dell'arte moderna e della follia come campi forzosamente separati dalle categorie del sapere, e dopo le fin troppo estetizzanti coniugazioni delle avanguardie del '900, ora, arte e follia, tornano a sovrapporsi, a coincidere con pari dignità - indistinguibili - nell'espressione creativa, nelle mappature dei percorsi delle differenze, nella terapia. Nelle opere qui esposte - eidetico dono, da chi, nell'esperienza dell'angoscia è altro - fuori da sistematizzazioni linguistiche, da rigide codificazioni, la pratica della pittura, ustione o balsamo, nel suo procedimento, accoglie sempre tutto, restituendo, in ciascuna espressione, per quanto banale essa possa apparire, veritieramente, molto più di quanto attribuitole dall'intenzione dell'autore, rivelando così gli andamenti, gli scarti, le concatenazioni inespresse, segrete e nascoste, di una strategia dell'inconscio".

Domenico D'Oora


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