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Roy Lichtenstein
Riflessi/Reflections

a cura di
Diane Waldman
testi di:
Salvatore Carrubba
Maria Teresa Fiorio
Diane Waldman
Edizioni Electa
Milano 1999
157 pp.25x28 cm
ill. b/n e col.
lingua: ital/ingl.
ISBN 88-435-7352-7

 

 

 

 

 

 

 

 

"Riflessi" è il titolo della mostra con la quale il PAC (Padiglione d'Arte Contemporanea) di Milano ha presentato (dal 20 aprile al 25 giugno 2000) una scelta di dipinti, disegni, collage e sculture dell'artista americano Roy Lichtenstein (New York 1923-1997).
"Per tutta la sua carriera artistica Roy Lichtenstein fu affascinato dall'idea del riflesso. La parola riflesso può significare cose diverse: l'immagine riflessa in uno specchio, uno stagno o una pozza, il riflesso in una vetrina o la rifrazione di un'immagine smaltata in un museo. Come le increspature prodotte da un sasso scagliato in una pozzanghera, il riflesso, con la ricca e complessa interazione delle molte sfaccettature di luce e immagini, genera idee: I soggetti che Lichtenstein mutuava dai media erano tuttavia ben precisi: oggetti rappresentativi di una società postbellica in cui il ceto medio usciva vincitore da una lotta di classe tra ricchi e poveri. Lichtenstein, figlio di genitori borghesi benestanti, assumeva il ruolo dell'osservatore-commentatore della prospera classe media americana che si dilettava del proprio status di consumatore. Commentava l'espressionismo astratto, foggiando da uno stile informale un'arte che non solo era la sua invenzione formale ma risaliva alle origii stesse di quel movimento, che erano anche le origine di Lichtenstein: il cubismo analitico e sintetico. Quando dipingeva, impiegava uno specchio per riflettere un'immagine, secondo una tecnica tradizionale del Rinascimento, in modo da rilevare più facilmente eventuali pecche compositive nel suo disegno. Rifletteva sulla propria arte e sull'arte altrui, incorporando nei propri dipinti immagini di Cézanne, Picasso, Matisse, Mondrian e Léger, nonché di Topolino, di ragazzi e ragazze dei fumetti, che erano bellezze americane al cento per cento, e di oggetti di uso domestico tratti da fumetti, cataloghi, pubblicità e dalle Pagine Gialle. La sua intera opera è stata una riflessione, un'indagine sulla propria identità e sul proprio ruolo di artista. (...) Usava lo specchio come mezzo per mettere in discussione la realtà e dipinse il proprio autoritratto con uno specchio al posto del volto, come a chiedersi cos'è che fa di un individuo un artista. Da sempre con gli autoritratti gli artisti ci hanno fornito qualche indizio circa la loro personalità. L'autoritratto di Lichtenstein, viceversa, non riflette nulla e non ci dà alcun indizio del genere. La sua persona è un enigma. D'altro canto, in uno specchio non potremo mai conoscere noi stessi ma solo il nostro riflesso; perciò siamo incapaci di vederci. Da sempre lo specchio è stato l'emblema della Vanità. Cancellando la propria immagine, Lichtenstein potrebbe essere stato capace di spostare lo sguardo sullo spettatore per dirgli:
Ho scelto di non riflettere il mio ego, ma di restituirti ciò che ho visto nella vita: la bellezza, la verità e la saggezza sono veramente negli occhi di chi le contempla."
(Dalla presentazione in catalogo di Diane Waldman).

 

 


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