Franco Grignani
Ricerche sulla
percezione visiva
di Michele Caldarelli
(articolo pubblicato in Scienza85 - edizione italiana di Science85
- luglio 1985)
"Sono nato quando è nato il Cubismo" ha affermato
una volta Franco Grignani. Nacque infatti nel 1908 a Pieve di Porto
Morone, nel Pavese, e proprio sulle rive del Po, il suo fiume, la
cui immagine l'avrebbe indelebilmente accompagnato tutta la vita,
maturò le prime idee e simpatie che lo spinsero a partecipare
(fra i 18 e i 20 anni) alle manifestazioni del secondo Futurismo.
C'è un dipinto, realizzato in quegli anni e purtroppo perduto,
che Grignani ama ricordare. In questa 'storia del fiume', l'intento
paesistico era stato considerato da lui puramente marginale: quello
che lo interessava non era tanto ciò che viene percepito nei
limiti del campo visivo, quanto, piuttosto, l'astrattezza immobile
del continuo fluire delle acque lungo l'intero percorso, dalla sorgente
alla foce. Il fiume è chiara immagine di un ineluttabile divenire,
quasi un simbolo della vita stessa; l'acqua, nel suo scorrere incessante,
non è mai la medesima, anche se il fiume può sembrare
sempre identico a se stesso. Decisamente più difficile a scalzarsi',
anche se non impossibile, è il senso di immobilità della
terra che, in quanto tale, si oppone all'instabilità dell'acqua.
Ciò che Grignani ha tentato di raffigurare è uno 'sposalizio'
della terra con il fiume; ciò ricorda da vicino il senso di
quelle 'nozze regali' che nella tradizione ermetica sottolineavano
la conciliazione di opposti elementi o nature. La portata simbolica
di questa operazione è evidente, ma altrettanto chiari, come
vedremo più avanti, saranno anche gli sviluppi razionali che
Grignani ne deriverà dopo le esperienze astrattiste degli anni
Trenta.
L' aqua permanens, prima materia fondamentale nelle opere di
alchimia, ne costituisce anche il risultato ottenuto attraverso passaggi
di stato 'operati - osservati' dall'artefice. In tutte le opere alchemiche
ricorrono due elementi partecipi della stessa natura e tuttavia opposti
e distinti nell'aspetto apparente. La loro congiunzione o mescolanza,
secondo modi opportuni, costituisce il fine dell"opera". Il compimento
di questa determina un mutamento di stato negli elementi, ma anche,
e soprattutto, nell'operatore stesso e si chiarisce così come
tutto converga verso una più completa conoscenza della natura.
Lo scopo dell'operare consiste nell'operare stesso, che assurge così
contemporaneamente a fine e a mezzo.
Tutto ciò parrebbe lontano dal pensiero moderno (anche se solo
fra qualche secolo, questo stesso risulterà poco distante da
quello medioevale), ma per una sensibilità attenta, che voglia
rinunciare alle certezze cartesiane, sostituendo spazio e tempo ai
classici binomi alchemici, il problema non si sposta, perché
è, e rimane, il medesimo. La tensione, in quanto movimento
in potenza, è ciò che, del tempo, può essere
intuito e fissato nello spazio. Questa speculazione, semplice nell'enunciato,
ma estremamente complessa per le implicazioni che ne derivano, è
molto familiare a Grignani che, si può dire da sempre, la applica
e ne trae sempre nuova fonte di ispirazione.
Flou, subpercezione, distorsione, moiree, periodiche, dissociazioni,
psicoplastiche, isoplastiche, diagonali nascoste, strutture iperboliche
caratterizzano per tappe, quali termini chiave, lo sviluppo della
sua ricerca. Scienza e arte si fondono nelle opere di Grignani, intrecciando
un discorso di metodo e di sperimentazione che si sviluppa con continuità
sullo stesso terreno di indagine proprio della psicologia della percezione.
Alla sensibilità intuitiva Grignani ha unito la capacità,
sviluppata studiando architettura, di 'vedere' attraverso il progetto.
Già durante la guerra si era concretamente reso conto dell'interdipendenza
fra occhio e mente, dovendo insegnare tecnica di avvistamento aereo
in una scuola militare. Al termine del conflitto, abbandonata l'architettura,
si era dedicato a una professione per allora nuova e insolita: il
graphic design.
Cosciente del fatto
che ciò che si percepisce visivamente non corrisponde alla
vera natura della realtà, iniziò, tra il 1949 e il 1950,
ad analizzare quanto appare nella zona periferica del campo visivo.
Il risultato fu una serie di opere flou, realizzate con l'ausilio
di particolari filtraggi e tempi di esposizione fotografica, dove
l'intento era di fissare quelle nebulose immagini subpercettive altrimenti
sfuggenti all'attenzione dell'occhio.
Facendo successivamente ricorso, con disinvolta elasticità,
alle tecniche più svariate, specie fotografiche, Grignani iniziò
a indagare criticamente le immagini del paesaggio urbano distorte
da superfici riflettenti irregolari. Si era reso conto dell'avvento
di una nuova e virtuale immagine dell'ambiente fisico che circonda
l'uomo, rintracciabile, in forma alterata, su miriadi di oggetti e
di strutture verniciate o in metallo lucido. Ma il suo metodo, anche
libero, non si è mai posto arbitrariamente nei confronti del
reale. Utilizzando, come egli stesso ha dichiarato, "... lenti zoppe,
vetri, condensatori, prismi, acqua, olio ..." cercava di superare
i limiti fisici dell'occhio e della mano, in favore della formulazione
di una grammatica, di un metodo critico, coerenti con le leggi dell'ottica,
della meccanica, della fisica.
Immediatamente successive e conseguenti (dal 1955) sono state le opere
moiree. Proiettando su tela sensibile dei 'pattern' texturizzati
sovrapposti (precedentemente disegnati), Grignani ha ottenuto innumerevoli
immagini caratterizzate da sequenze, addensamenti e rarefazioni di
segni elementari, nel rispetto di un ordine puramente geometrico matematico.
Con i moiree è riuscito a ottenere particolari effetti
di texturizzazione fortemente illusivi; il sovrapporsi oscillatorio
delle immagini reali alle 'postimmagini', generate dalla particolare
frequenza e distribuzione dei segni, fa vibrare i segni stessi (in
realtà immobili sulla tela) e variare la luminosità
degli interspazi. Si crea così un'impressione simile a quella
generata dai cosiddetti 'fosfeni' che l'occhio percepisce quando,
a palpebre abbassate, si faccia pressione con le dita su entrambe
le pupille per alcuni secondi. Ma il fine ultimo di Grignani non era
tanto analizzare il disorientamento visivo, quanto, piuttosto, comprendere
perché certi fenomeni visivi si verifichino. Da qui la necessità
parallela di guidare con il calcolo gli effetti prodotti attraverso
una elaborazione, e una estensione manuale, dei microfenomeni evidenziati
volutamente, ma anche meccanicamente, col moiree.
Con le induzioni (1955) e le vibrazioni (1962) Grignani
ha sviluppato temi relativi a effetti quali quello detto della 'banda
di Mach '. In queste opere, i mutamenti di intensità luminosa
creati dalla contrapposizione dei campi bianco e nero evidenziano
come reagisce l'occhio che interpreta come reali delle inesistenti
bande o volumi. In successive sperimentazioni ( operativi numerici,
diacroniche, tensioni del 1964-'65), è passato quindi a
evidenziare effetti di prospettiva e torsione spaziale che avrebbero
trovato sviluppi particolari in opere dipinte e poi in vere e proprie
sculture (periodiche, del 1967-69), in immagini bidimensionali
di pseudosolidi (psicoplastiche del 1968) e in variazioni nastriformi
(dissociazioni packaging de1 1967) su temi plastici talvolta
affini a quello del nastro di Moebius.
Ma va detto a questo punto che tutta l'opera di Grignani, nella sua
coerenza, rappresenta una continua fusione di esperienze precedenti
con altre di nuova formulazione. Esempio
finale (ed è da credere non ultimo) ne sono le strutture
iperboliche, che riassumono quasi totalmente le passate sperimentazioni.
Una complessissima individuazione di punti, spazialmente determinati
sul piano di ogni opera, genera, appunto, degli spazi iperbolici,
che fluttuano per variazione illusoria di luminosità, ma anche
per mutata interpretazione spaziale ed effetto anamorfico, se vengono
osservate non frontalmente. Il risultato è un universo di segni
policentrico e assolutamente instabile, ma pur ordinato all'interno
di una simmetria dinamica che concilia, in una immagine visiva, le
illusioni del tempo e dello spazio reali e percepibili solo quando
la loro reciproca interferenza si manifesta nel divenire di un mondo,
le cui ulteriori 'N' dimensioni sono ancora da scoprire.
Franco Grignani oltre che artista è prestigioso designer grafico.
È stato membro della giuria internazionale di Typomundus
XX/2 per la selezione della grafica di comunicazione
nel nostro secolo, membro della giuria della Biennale dell'affiche
di Varsavia 1970. Ha partecipato come relatore esperto di comunicazioni
visive negli Stati Uniti ai lavori del primo Vision 65 all'Università
di Carbondale. Per il suo contributo alle ricerche estetiche, ha ricevuto
il simbolo d'oro dal Centro di Cultura Giancarlo Puecher di Milano.
I suoi lavori sperimentali e grafici sono entrati a far parte della
raccolta del Museum of Modern Art di New York, dello Stedelijk Museum
di Amsterdam, del Museo d'Arte Moderna di Varsavia e del Victoria
and Albert Museum di Londra.