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Musica nell'arte dopo il 1950
Di Anna Bianchi.


La musica e l'arte figurativa hanno da sempre viaggiato in parallelo lungo i secoli; nonostante alcune minime contaminazioni si fossero già verificate, è agli inizi del Novecento, con l'avvento delle avanguardie, e dei futuristi in particolare, che le due arti hanno cominciato a perdere la nettezza dei rispettivi confini. Basti pensare al manifesto di Carrà del 1913 La pittura dei suoni, rumori e odori, in cui l'artista proclamava la necessità di introdurre nella pittura messaggi sensoriali appartenenti ad altre discipline artistiche, come la musica o il teatro.
Sul piano teorico i futuristi ebbero il merito di aver aperto e preparato la mente a percorrere una nuova strada artistica, diretta verso un'opera d'arte totale; ciononostante rimasero di fatto legati alla pittura intesa in senso tradizionale, ossia fatta con pennelli e colori, in cui sensazioni diverse dalle visive erano solo rappresentate, non attuate.
La svolta decisiva per una concreta e totale integrazione tra arte figurativa e musica si ebbe qualche decennio più tardi, grazie all'operato di un intraprendente compositore americano: John Cage.
Cage (Los Angeles, 1912 - New York, 1992) è stata una figura fondamentale per tutta l'arte della seconda metà del Novecento. Il campo in cui operava era quello musicale, ma le sue esperienze e i suoi esperimenti innovativi influenzarono profondamente anche l'arte visiva, il teatro, la danza, la letteratura. La sua mentalità aperta, la sua sete di novità, la sua instancabile operosità l'hanno portato a compiere un percorso musicale, e non solo, di continua ricerca volta all'integrazione di arte e vita quotidiana, perché ogni individuo imparasse ad accorgersi di ciò che gli stava intorno, perché potesse trarre esperienza anche da accadimenti apparentemente insignificanti o solitamente trascurabili.
Consapevole del valore sociale della musica, Cage ha sempre lavorato in modo da responsabilizzare il pubblico, spronandolo a porsi all'ascolto con atteggiamento attivo, anziché passivo. Importante era l'esperienza in grado di cambiare la mente.
Nella stessa direzione si incamminò l'arte figurativa. Dopo le prime importanti esperienze di Cage, alcuni artisti si avvicinarono al mondo dei suoni con rinnovato interesse; il loro nuovo approccio alla musica è risultato di indubbio valore artistico e culturale, perciò meritevole di menzione. Cage stesso in diversi casi si trovò a stretto contatto con gli artisti della nuova generazione, avendo così modo di condividerne alcune esperienze.
E' con il movimento dei primi lavori di arte cinetica che i suoni divennero componenti delle opere quanto gli aspetti motorio e visivo. I mobiles di Calder ne sono un esempio. Le leggere strutture di metallo sospese, oscillando e muovendosi nello spazio, tintinnano e suonano, ogni volta in modo diverso dalla precedente essendo i movimenti causati da spostamenti d'aria più o meno casuali. Proprio questa particolarità fece affermare a Cage, parlando di esecuzioni diverse dello stesso brano, che "è facile vedere il parallelo con la natura, poiché persino tra le foglie di un medesimo albero, non ce ne sono due esattamente uguali. La realizzazione parallela nel campo dell'arte figurativa è la scultura dotata di elementi mobili, il 'mobile'", riferendosi chiaramente alle opere di Calder.
Altri esempi di arte cinetico-sonora risultano le Macchine inutili di Munari, studiate per produrre ticchettii irregolari, disturbando volutamente il funzionamento di meccanismi per orologi.
Da non dimenticare è poi Hommage à New York (1960) di Jean Tinguely, una installazione meccanica appositamente creata per autodistruggersi, alla sua messa in funzione. Possiamo ben immaginare che ciò non sia avvenuto in silenzio, ma che, anzi, i rumori metallici, gli scoppi, i crepitii provocati dall'evento svolgessero una parte fondamentale della sua riuscita.
Similmente, ma con proposito contrario, ha lavorato anche Robert Morris per il suo Box with the Sound of Its Own Making (1963): l'opera consisteva in una scatola di legno da cui si propagavano, appunto, i rumori della sua costruzione. Questi erano stati registrati su nastro per essere poi trasmessi da un magnetofono nascosto all'interno della scatola stessa. Il suono 'trovato', a mo' di readymade acustico, ha aperto dunque un altro filone della ricerca artistica. Le registrazioni su nastro, infatti, carpendo i suoni del mondo e del fare quotidiano, permettono di trasportarli non solo da un luogo ad un altro, ma anche da un momento ad uno successivo, e proprio su questa particolare caratteristica ha voluto giocare Morris nel caso citato: la compresenza dell'oggetto finito e dei rumori del suo facimento.
Anche Erik Samakh ha lavorato sullo spiazzamento percettivo tra suono e ambiente. Nel caso delle sue installazioni più piccole il pubblico poteva interagire con l'opera: in Animal en Cage (1988) e nel successivo Octave le Canari (1992) venivano presentate gabbie per uccelli vuote, da cui uscivano cinguettii che si modificavano secondo i movimenti dei visitatori. Dunque l'azione del pubblico era molto importante, non tanto a livello mentale, come Cage si aspettava che fosse per i suoi ascoltatori, quanto a livello fisico motorio, portando comunque il pubblico a vivere attivamente un'esperienza.
Basato sulla "visione del suono" era invece il lavoro di Rolf Julius. Negli anni Ottanta, ha cominciato a costruire installazioni con "piccoli altoparlanti, che possono essere isolati o posti all'interno degli oggetti più diversi […], ricoperti di pigmenti colorati che vibrano quando c'è emissione di suono". In questo caso suoni e colori erano considerati allo stesso livello d'importanza, componenti paritarie di sculture audiovisive. Di fronte ad esse, lo spettatore non era chiamato ad agire, ma ad assistere ad un'integrazione tra elementi visivi e sonori autonomamente stabile.
Ma anche assistere porta esperienza; basta farlo, come ha più volte ribadito Cage, aprendo la mente a ciò che ci circonda. Cosa che voleva sperimentare anche Julius, come fa capire descrivendo il progetto per Music for a Bamboo Forest (1991): "Una stanza ampia, aperta, luminosa, illuminata di verde, con un alto soffitto. […] esili fusti flessibili raggruppati l'uno accanto all'altro. […] Ma ancora si può intravedere lo sfondo in una stanza che immagino profonda e larga 100 metri e alta 30 metri. […] La musica. Dovrebbe essere in qualche modo geometrica. In ogni caso vorrei suonare con le distanze. Vorrei che i suoni provenissero da lontano. Vorrei che alcuni suoni provenissero da sinistra e da destra e altri dall'alto. Vorrei che non li si percepisse così chiaramente. Quanto alti devono sembrare i suoni? Voglio dire: come risuoneranno da un'altezza di 30 metri? […] Vedremo. In ogni caso , qualcosa come una brezza leggera farà vacillare i fusti, facendo in modo che la resa acustica del loro fruscio possa integrarsi alla composizione. […] E si verificheranno interferenze, improvvisi scrosci percussivi o strani residui sonori che attireranno l'attenzione verso la quiete". Con questo progetto Julius esprimeva il desiderio di creare un intero ambiente sonoro, che provocasse qualche tipo di reazione nel pubblico, e che ogni visitatore avrebbe potuto percepire in maniera personale.
Come disse Cage, infatti, "l'attività del movimento, del suono e della luce […] è espressiva, ma quello che esprime è determinato da ciascuno di voi".
Suono, luce e movimento non possono che far pensare ad un'altra importante forma d'arte: il teatro che, per rifarci nuovamente ad un'affermazione del compositore americano, " lega insieme vista e udito". Questo ben lo sapevano gli artisti che decisero di presentare i propri lavori sotto forma di azioni, gesti, eventi. Questo metodo espressivo consentiva di minimizzare le differenze tra arte e vita: il performer si muoveva e agiva davanti e tra il pubblico, così come nella vita reale ogni individuo si muove e agisce davanti e tra la gente che lo circonda; ma naturalmente non era possibile tralasciare la componente auditiva della percezione di eventi, importantissima nella vita reale, nondimeno essenziale in questa particolare forma espressiva.
Particolarmente vicino alle teorie e agli obiettivi appartenenti a Cage, La Monte Young si cimentò in performances focalizzate sul suono. Proprio il compositore americano ce ne ha fornito un… commento: "Young è in grado, sia attraverso la ripetizione sia attraverso l'esecuzione continua di un singolo suono per una durata, ad esempio, di venti minuti, di fare in modo che, diciamo dopo cinque minuti, io possa scoprire che ciò che continuavo a pensare come la stessa cosa in realtà non lo è affatto, per via di tutta una gamma di differenze che prima ignoravo. Trovo il suo lavoro straordinario, perché è paragonabile al cambiamento nell'esperienza del vedere che subiamo guardando qualcosa al microscopio. Anche in quel caso ci si accorge che c'è qualcosa di diverso da quanto ci si aspettava".
Negli anni Settanta, La Monte Young cominciò a collaborare con Marian Zazeela. Insieme attuarono performance in cui erano le loro voci a produrre quei suoni insoliti e continui a cui si riferiva Cage; contemporaneamente la luce di alcune diapositive con disegni decorativi, somiglianti a pizzi, avvolgeva i due performers, creando una particolare atmosfera orientaleggiante. Va inoltre ricordato che anche La Monte Young, come Cage, si interessava di discipline orientali, da ciò deriva la sua predisposizione all'ascolto incondizionato di qualsiasi suono, accettandolo per ciò che era. Rappresentativa in questo senso, la liberazione di una farfalla in una sala da concerto perché il pubblico ne ascoltasse il battito d'ali, per far presente che è il mondo a necessitare ascolto. Cage la pensava esattamente alla stessa maniera: "i suoni che ci circondano sono equivalenti alla musica. In India dicono che la musica è continua; si interrompe soltanto quando smettiamo di prestarle attenzione, abbandonandola".
Anche Charlemagne Palestine nelle sue esibizioni utilizzava la propria voce, ma non solo: la sua ricerca era volta a tutto il corpo, utilizzandolo come "involucro sonoro". Cage ha raccontato di aver assistito ad una delle sue performance: "Ricordo una performance di Charlemagne Palestine che rammentava la Body Art di Vito Acconci. Palestine gridava la sua musica per voce con una dinamica estrema correndo continuamente a grande velocità in mezzo al pubblico per così tanto tempo, sino a raggiungere lo sfinimento fisico". Il canto, gli spostamenti da una parte all'altra della stanza, i movimenti gestuali, tutto concorreva nel diversificare la percezione dei suoni nello spazio, in più sfruttando la ripetitività delle melodie, Palestine creava giochi armonici per effetto di risonanza. Con le sue azioni, inoltre, stimolava un certo coinvolgimento emotivo del pubblico, magari, come nel caso della performance descritta da Cage, per empatia.
Un'altra artista che ha sfruttato musicalmente il proprio corpo e la propria voce, è stata Meredith Monk. Dopo iniziali studi musicali, si avvicinò al mondo della danza e di qui, grazie a influenze acquisite dalla Pop Art e dall'Action Painting, passò ad una forma di teatro totale in cui voce, musica e danza si integravano armonicamente. A differenza di Palestine, però, le situazioni che si venivano a creare risultavano tranquille e meditative. La voce era il nodo principale attorno cui ruotavano tutte le esibizioni della Monk; delle volte ne era l'unico elemento musicale, mentre in altre veniva accompagnata da uno o più strumenti, quali pianoforte, flauto a becco, digeridu, tastiere elettroniche. In Our Lady of Late (1974), l'artista aveva suonato un bicchiere di cristallo sfiorandolo con le dita, trasformando così un oggetto comune in strumento musicale.
Alcune valenze sonore si possono trovare anche nei lavori di Marina Abramovi, un'esponente della Body Art che agisce in prima persona operando sul proprio corpo. Merita di essere menzionata in particolare per due performance: Rithme 10 (1970) e Rithme 5 (1974). Già con il titolo viene richiamata l'attenzione su una fondamentale componente musicale, il ritmo, appunto. Nelle azioni, esso era determinato dal picchiettio dei coltelli con cui la Abramovi, inginocchiata sul pavimento, colpiva in successione gli spazi tra le dita aperte della sua mano. In Rithme 5 ripeté l'operazione per venti volte, usando, uno dopo l'altro, venti coltelli di diverse fogge, mentre ne registrava i rumori su nastro magnetico.
Una figura di altrettanto rilievo nel campo delle performance artistiche è Laurie Anderson. Importante ricordare che aveva seguito i corsi di musica di John Cage e quelli di danza di Merce Cunningham, grande amico del musicista, al Black Mountain College, grazie ai quali si è indirizzata sempre più verso una integrazione di mezzi artistici diversi nella realizzazione dei suoi lavori. Musica, azione, tecnologia elettronica, film, fotografia, sono alcuni dei media espressivi da lei utilizzati. La Anderson era solita giocare ironicamente con associazioni insolite, alogiche, paradossali di immagini o eventi. In Duetti sul Ghiaccio, una performance del 1975, l'artista, in una piazza, ha suonato il violino con ai piedi dei pattini con la lama conficcata in due rettangoli di ghiaccio che si scioglievano lentamente. La Anderson organizzò anche veri e propri spettacoli musicali e multimediali di cui alcune registrazioni divennero dischi di successo, e nei quali non si limitò ad usare strumenti di tipo tradizionale, ma allargò il campo alla musica elettronica, cercando di sperimentare sempre nuove situazioni sonore.
Più vicini all'idea cageana di spersonalizzazione dell'azione teatrale risultano Gilbert and George, due esponenti della Body Art. Essi hanno sviluppato un tipo di performance in cui l'aspetto visivo risultasse il più importante. Si presentavano davanti al pubblico ben vestiti e prevalentemente immobili, in atteggiamenti congelati, come fossero sculture più che persone vive, e si lasciavano narcisisticamente osservare. Ciononostante esiste un loro lavoro intitolato The Singing Sculpture (1971), in cui i due, in piedi sopra un tavolo, in giacca e cravatta e con il volto dipinto, facevano uso della propria voce cantando "come automi".
Meno statiche, invece, le performance di Rebecca Horn, solita a costruirsi strane protesi per estendere i confini del proprio corpo. Interessante in senso musicale il suo Concerto controcorrente (1985). L'evento si svolse in una torre diroccata, luogo di stragi naziste: al centro della stanza vi era un piccolo bacino contenente dell'acqua, mentre nel vetro concavo posto subito sopra se ne condensavano gocce. Il concerto era suonato da una serie di martelletti "disposti a spirale attorno allo specchio d'acqua", che battevano ritmicamente il terreno, come a sottolineare l'inesorabile trascorrere del tempo. Un lavoro pregno di simbologie, in cui la musica, tramite la scansione ritmica, giocava un ruolo fondamentale.
Anche per Cage il tempo era un elemento importante, era addirittura l'unico fondamentale, l'unico appartenente sia alla musica sia al silenzio.
Altre interessanti performance, infine, le particolari operazioni di Jannis Kounellis, consistenti nell'esposizione in galleria di un musicista intento nell'esecuzione di un brano, presentandolo non come concertista, ma come opera d'arte, come readymade vivente. Con i suoi lavori Kounellis cercava di abbattere la barriera che divideva arte e vita, inseguendo, in questo modo, lo stesso obbiettivo di Cage e, nel caso dei lavori appena descritti, aiutandosi anche con la sua stessa disciplina artistica.
La musica utilizzata per indagini artistico-percettive è stata dunque sfruttata in svariati modi da diverse personalità artistiche operanti nell'ambito delle performances. Esse hanno assottigliato e a volte annullato la distanza tra le varie arti, tra i differenti mezzi espressivi, muovendosi verso un'arte totale e teatrale.
Cage stesso riteneva importante tutto questo, in quanto era sempre più interessato ad uno sviluppo sociale dell'arte, che potesse coinvolgere attivamente il pubblico. Sulla base di questi principi e improntato attorno alla ispiratrice figura di Cage, nacque, nel 1961, un importante gruppo artistico denominato Fluxus. Il suo fondatore fu George Maciunas, autore dei manifesti, il quale raccolse sotto questo nome artisti di diverse nazionalità, ma accomunati da simili metodi di lavoro e simili scopi artistici. Alla morte di Maciunas, nel 1978, il gruppo Fluxus si sciolse, ma i suoi esponenti continuarono a lavorare anche successivamente con la stessa libertà e con lo stesso ardimento di allora.
L'influenza delle esperienze di Cage sugli sviluppi del gruppo artistico, sta innanzitutto nel fatto che alcuni componenti del gruppo, quali George Brecht, Dick Higgins, Al Hansen e Jackson Mac Low, seguirono i corsi tenuti da Cage alla New School of Research di New York; ma successivamente anche altri esponenti fluxus conobbero e apprezzarono Cage e il suo operato, come La Monte Young, Nam June Paik, Yoko Ono. Tutti questi artisti lavoravano con estrema libertà ed altrettanta indipendenza. Utilizzavano i più svariati mezzi espressivi ed erano soliti miscelare le diverse discipline artistiche, dando uguale importanza ad ognuna di esse. "In situazioni teatrali, o musicali o altro ancora, non sussiste più alcun centro d'interesse: è l'insieme ad essere interessante" aveva fatto notare Cage. Con i loro lavori volevano portare la vita nell'arte e l'arte nella vita; come Cage desideravano che l'arte fosse alla portata di tutti e non solo di pochi eletti, per questo cercavano di avvicinarsi alla neutralità del quotidiano, dell'anonimo, dell'impersonale. Le operazioni fluxus non erano nemmeno impegnate politicamente, piuttosto erano rivolte verso, per dirla con Cage, "situazioni sociali, e sociali in modo anarchico".
Anche la molteplicità di tecniche, materiali e azioni dei lavori fluxus possono essere accomunate al pensiero del compositore: "Mi sono reso conto che se concentro la mia attenzione esclusivamente su una cosa, questa finisce per morire; ma se la sposto in uno spazio che include altre cose, diverse da quella, allora diventa viva". Allo stesso tempo il gruppo di artisti si avvicinò anche alla dottrina Zen, condividendone i principi fondamentali e cercando di metterne in atto gli insegnamenti: il fatto di essere "costantemente alla meta" e mutare "insieme ad essa", ad esempio, può essere un motivo per cui Fluxus si sia interessato tanto all'esperienza del presente, alle azioni, e alla "percezione totale dell'evento", a "forme di rappresentazione che implicano il mondo nella sua totalità".Non per niente il gruppo è stato battezzato Fluxus, flusso, appunto, proprio perché, per tornare alle parole di Cage, "dovrebbe esserci un flusso in modo che l'esperienza dell'ascolto possa penetrare". L'ascolto, la musica furono anche i principali temi approfonditi da Fluxus, soprattutto all'inizio della sua avventura. La musica intesa come rumore o silenzio, ma comunque come insieme di suoni del quotidiano. Molti artisti appartenenti al gruppo presentarono le proprie performances sotto forma di Concerti. Ma le indagini in campo musicale non si fermarono a questo punto, nonostante già fosse un buon punto: vennero utilizzati elementi musicali non solo in quanto suoni, ma anche come richiami visivi all'arte auditiva, inserendo alcuni strumenti nelle installazioni, o video installazioni, a mo' di readymade. I lavori fluxus giocavano spesso sulla dicotomia vista/udito, ha infatti osservato Vostel che "nel corso dell'azione il processo visivo e quello acustico costituiscono simultaneamente un avvenimento unico, senza dissociazioni. In un concerto fluxus l'elemento visivo è dunque molto importante, ed è l'unica causa possibile del suono. In fondo si tratta di una musica 'live', che nasce da cose che accadono".
Sia performance sia installazioni musicali sono state utilizzate da George Brecht, uno dei maggiori esponenti del gruppo. Interessante il suo Octet for Winds, dal brano Could Scissors (1965), in cui la sezione fiati dell'orchestra Fluxus suonava i propri strumenti dirigendo i soffi d'aria su una piccola zattera a vela, in modo da farla navigare in un catino d'acqua. L'idea di usare trombe e clarinetti non per produrre determinati suoni, ma per dirigere l'aria emessa dai musicisti verso un luogo, verso qualcosa, era un ulteriore sconvolgimento dei canoni musicali, dopo la svolta già apportata da Cage in tale campo. Invece con il video Piano Piece Brecht assumeva il pianoforte come presenza muta, verso cui dirigere la macchina da presa finendo a riprendere in dettaglio un oggetto posto sopra il bianco strumento. L'operazione si ripeteva diverse volte ma in ognuna variava l'oggetto (un fiore, un telefono, un televisore,…). In questo modo veniva messa in risalto la valenza temporale dell'opera, quella fondamentale componente musicale che è la durata, nonostante il filmato si svolgesse in completo silenzio.
Anche Nam June Paik lavorò utilizzando il video: proponeva principalmente video installazioni e video decollage; ma dal punto di vista musicale vanno ricordate alcune performances eseguite in coppia con Charlotte Moorman, violoncellista aderente al gruppo Fluxus. Dalla loro collaborazione nacquero esibizioni nelle quali la Moorman suonava improbabili violoncelli, come l'esecuzione di 26'1.1499 for a String Player di John Cage in cui lo stesso Paik faceva da violoncello umano, oppure in Concerto for TVcello and videotapes (1975) in cui lo strumento era composto dall'assemblaggio di tre televisori trasmettenti video di Paik; invece nella precedente Opera Sextronique (1967), il violoncello era di tipo tradizionale, ma la musicista suonava nuda, con due piccoli schermi posti all'altezza del seno in cui Paik trasmetteva, in modo distorto, le immagini dell'evento stesso. Con queste esibizioni i due artisti integrarono egregiamente i personali metodi espressivi proponendo interessanti e suggestivi accostamenti visivo-sonori.
Anche Yoko Ono ha utilizzato il media televisivo per molti suoi lavori, ma uno dei più importanti, dal punto di vista musicale, è Toilette Piece, la registrazione su nastro del rumore prodotto dallo sciacquone di un wc. Un atto indubbiamente provocatorio, ma anche una presa di coscienza della musicalità di un suono (rumore) trascurato. L'intento era lo stesso che aveva Cage lasciando che i suoni, di qualsiasi natura, fossero se stessi.
Una figura di principale rilievo all'interno di Fluxus è stato La Monte Young, il suo pensiero sposava appieno le tesi del gruppo, inoltre aveva contatti diretti con il musicista ispiratore di tali tesi.
Un suo lavoro significativo, che non si può mancare di menzionare, è Piano Piece for David Tudor No.1 (1960). L'esecuzione consisteva nel foraggiare un pianoforte a coda con del fieno e un catino d'acqua, "come un cavallo o una mucca", e portarlo via dalla scena dopo avergli lasciato il tempo di mangiare. Il fatto di trattare un pianoforte, lo strumento per eccellenza più completo e prestigioso, come un essere vivente, la dice lunga sul rapporto che Young voleva instaurare con la musica, riconducendola alla vita del mondo esterno, quel mondo di per sé già musicale, che andrebbe semplicemente ascoltato, dedicandogli un po' d'attenzione.
Il pianoforte, proprio per la maggiore importanza attribuitagli rispetto agli altri strumenti, è stato anche il più utilizzato e sconsacrato dagli artisti fluxus.
Il fiorentino Giuseppe Chiari, ad esempio, vi aveva incentrato il suo lavoro più famoso. Gesti sul Piano consisteva nel muovere le mani appoggiate alla tastiera del pianoforte, in modo da produrre involontariamente certi suoni, determinati, oltre che dal movimento casuale, dal peso degli arti, mai da pressioni muscolari. In questo modo Chiari toglieva al pianoforte quello status di strumento per virtuosi, portandolo ad un livello terreno, alla portata di tutti.
Philip Corner organizzò invece un evento ancora più radicale. Con la collaborazione di Emmet Williams, Wolf Vostell, George Maciunas e Ben Patterson, mise in atto la distruzione di un pianoforte, intitolando la performance Piano Activities (1962). Naturalmente l'unica musica udibile dal pubblico era quella prodotta da seghe e martelli utilizzati durante l'azione.
Un utilizzo di strumenti musicali stravolto rispetto i canoni della tradizione, è stato sperimentato, in modo meno cruento, anche da Ben Patterson che ha lavorato in maniera inconsueta col suo contrabbasso. Alla manifestazione Milanopoesia del 1989, si esibì in giocose Variation for Double Bass, suonando il contrabbasso diritto o capovolto, con l'arco o con un piumino, pizzicando le corde, intrecciate con carta stagnola, o strofinandole con un pezzo di polistirolo. Anomalo l'effetto risultante: anche se non totalmente stravolgente, l'uso di materiali diversi per suonare le corde del contrabbasso provocava un certo spiazzamento del pubblico, poiché comunque si trovava ad ascoltare suoni insoliti; ma il tutto era presentato con la giusta dose di ironia che toglieva all'evento una inutile seriosità.
Esperimenti musicali interessanti sono stati indagati da alcuni artisti giapponesi tramite installazioni elettroniche. Tra questi spicca l'operato di Yasunao Tone. Egli compose Clapping Piece (1972), da eseguire con le mani, quando ancora frequentava il Mills College, ma si dedicò successivamente a studiare l'applicazione di nuove tecnologie alla musica. In Molecular Music (1982-86), ad esempio, controllava elettronicamente alcuni sensori applicati a uno schermo sul quale venivano proiettate diapositive, ottenendone particolari suoni, corrispondenti alla quantità di luce captata. In questo modo Tone creava musica elettronica traducendo impulsi visivi di un'immagine in impulsi auditivi.
Meno futuristiche, invece, le semplici installazioni di Armleder. Egli aveva associato un dipinto bianco, con trama regolare a grossi pois neri, a due 'piatti sospesi', con gli appositi treppiedi, posti ai lati del quadro appeso al muro (Untitled, 1987). Ha anche esposto, come fossero di per sé opere d'arte, due roto-tom a tre tamburi, appendendoli alla parete in verticale (Untitled, 1987). Armleder ha dunque sfruttato il readymade nella sua forma più pura, semplicemente cambiando funzione all'oggetto esposto, ma comunque si percepisce la vena ludica di Fluxus nel suo modo di operare, la stessa che spinse precedenti artisti a suonare i violini come fionde (Ay-O), o a giocare con le parole (Maciunas, Balestrini).
In ultima analisi va assolutamente ricordato il contributo materiale dato in prima persona da Cage all'arte Fluxus esponendo, nel 1989, Please Play or the Mother, the Father, or the Family. Il compositore ha presentato con questo titolo un pianoforte a coda rovesciato, ma rialzato da terra grazie ad una fitta stratificazione di stoffe di tutti i colori e di tavole di compensato, sagomate come la forma dello strumento. Un vero e proprio capovolgimento della tradizione, ma che sembra anche possedere qualche affinità con la Ruota di Bicicletta (1913) di Duchamp, finendo così per unire presente e passato, ma con lo sguardo sempre rivolto verso il futuro.
Certamente, infatti, non sono precluse nuove strade e futuri sviluppi artistici sotto lo sprone dell'esperienza cageana, che, anzi, proprio grazie alla sua universalità ha lasciato aperte molte porte: bisogna solo varcarne la soglia e farne esperienza.

 

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