Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo
Gianni Secomandi
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Roberto Sanesi, presentazione Galleria Cadario 1968

Con insistenza, da anni, coordinando materiali in sé quasi del tutto privi di allusioni pittoriche, di condiscendenze al gusto, scarni, ruvidi, Secomandi ha inseguito la possibilità di restituire in termini visivi uno spazio inquieto; e nel suo procedere, pur non scartando mai un intervento di “gesto” - e anzi spesso affidando proprio al gesto il compito di lasciare un’impronta magari labile eppure, mai indifferente di ricordo umano, di drammaticità intuita e data poi per una serie di relazioni - era pervenuto a una definizione di tipo architettonico, rigorosa, trattenuta. di una sua particolare violenza. Era uno spazio definito e silenzioso, che veniva, sì, interrotto da presenze improvvise (ed erano le bande, i filamenti, le interferenze delle leghe metalliche variamente trattate) ma che restava nel complesso uno spazio immobile.
Creare una dimensione, un primo scatto non simbolico, fu compito devoluto, più tardi, a frammenti di specchio inseriti sulle superfici a simulare nello stesse tempo riflessi e “sfondamenti”. Nelle sue opere più recenti, Secomandi sembra voler rendere sempre più netto quel senso dello spazio che ormai appartiene alla sua tematica, liberarlo dal peso (anche emotivo) e da una certa schematicità che gli derivavano in buona parte dai materiali e dalle forme, e soprattutto accentuarne la dinamicità. Mentre prima egli sembrava rivolto a organizzare un magma, ora l’artista sembra tendere a organizzare un’idea. E forse a inserire, nel concetto di spazio, un concetto temporale. Lo spazio è inevitabilmente, per Secomandi, un “luogo”; e a tale luogo si innesta un riferimento, per contrapposizione o meno, a una condizione umana. Perciò vi si muovono, come reperti combusti, oggetti che ancora appartengono a rozze categorie astrali, ma - in qualche modo razionalizzati - si avviano ormai ad assumere una consistenza assai meno ambigua, e a rasentare un discorso che a una prima lettura potrebbe anche apparire troppo facilmente simbolico. Si tratterebbe, in questo caso, di un rischio; ed è per questo che sono portato, personalmente, a diffidare di alcune delle forme più vicine a un’allusione ovvia, come può essere quella dell’occhio, forma globulare, specchio, elemento di visione sempre riflessa, data e restituita contemporaneamente. Mentre non posso che definire più coerenti e risolte le “idee stellari”, immagini sospese e silenziose, di una rapida assurda immobilità, con le loro tracce di turbini, ruote, spirali, gomitoli, filamenti e circonvoluzioni cariche nei vuoti bianchi di un misterioso fascino lirico: il fascino di un’incombente, oppressiva, significativa, enorme orologeria spaziale.

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