Enotrio
Mastrolonardo, in Incontri d'arte - 1965
In
pochi altri esempi come in Gianni Secomandi l’arte visuale ha trovato
dimostrazioni tanto probanti e sicure, ragioni così vive e profonde.
Limitando il nostro giro d’orizzonte in Italia ed è un giro piuttosto
ampio e intenso per il dibattito aspro e teso delle più svariate tendenze
attuali, che vede impegnate, come forse in nessun’altra civiltà culturale
avanzata, le forze più inquiete e preparate dell’arte d’oggi - soltanto
Lucio Fontana ha saputo prevedere e anticipare lo svolgimento di una
visualizzazione dell’espressione artistica, sul cui piano, spontaneamente
e quasi istintivamente, si è posto, in seguito, anche Secomandi.
In seguito. non significa di seguito e tanto meno al seguito, intendiamoci
bene. Non bisogna dimenticare che tra Fontana e Secomandi c’è lo spazio
fisico di una generazione. Quello spazio che, tradotto in tempo e
rimanendo sempre nel clima dell’arte visuale, nessuno è riuscito a
riempire validamente con ricerche e tentativi, in questa precisa direzione.
Negli ultimi anni ci sono stati, è vero innumerevoli prove e sperimentazioni
d’ogni sorta, che, nella confusione delle idee e nel contrasto delle
correnti, hanno potuto lasciar credere a molti che venissero fatte
nel tentativo di rendere sempre più visiva l’arte, mentre, in realtà
erano sforzi tesi verso altri risultati, come gli elementi in movimento
dell’arte cinetica o la oggettualizzazione dell’arte ghestaltica.
Uno dei primi, se non proprio il primo - l’esempio di Fontana fa testo,
ed è ormai nella storia - ad avvertire la necessità di dare all’arte
nuovi mezzi di rivelazione, nuovi strumenti di espressione. al di
fuori dei normali e comuni linguaggi di comunicazione - anche i vari
astrattismi e concretismi possono apparire agli occhi di un autentico
innovatore, linguaggi ormai logori - è stato proprio Secomandi. Il
quale comprese che, per risolvere questo fondamentale problema di
rinnovamento doveva anzitutto eliminare, nella creazione artistica,
la soggettività interiore, che, attraverso il sentimento, lo stato
d’animo, l’ispirazione, l’emozione, ecc., ha sempre plasmato l’opera.
sia di pittura sia di scultura. caricandola di significati intellettualistici
o, peggio ancora, romantici.
L’opera d’arte, secondo Secomandi. non va dunque sentita o compresa
nei suoi motivi sentimentali, spesso del tutto esteriori, ma deve
essere semplicemente “vista”. Solo così può essere veramente capita
e afferrata nel suo esatto valore visuale.
Questo suo concetto rientrava, quindi, spontaneamente nella grande
e impegnata problematica attuale della visualizzazione dell’arte,
nel momento in cui essa si affacciava in tutta la sua drammatica perentorietà,
prima che spuntassero i ricercatori dell’ultima ora, i Fregoli del
trasformismo artistico, gli equivoci sperimentatori del malinteso
e del dubbio.
La perfetta coscienza del problema. la priorità nella ricerca, la
serietà dell’impegno, che nulla concede al fatto tecnico o al gusto,
sono i motivi fondamentali di una ragione artistica e umana fra le
più valide e sofferte che ci è dato di conoscere nella stagione attuale.
Se la visualizzazione dell’opera trova nella lamiera di metallo, tesa
nella sua lucente architettura, o nello specchio inserito nel contesto
della costruzione con un suo ritmo preciso o nel filo d’acciaio che
scorre componendo sottilmente gli spazi, una piena e perentoria immagine
materica, la luce che scaturisce dagli oggetti stessi e si rompe in
riverberi - in riflessi - in barbagli improvvisi, in trasparenze misteriose,
con timbri e contrappunti finissimi, la luce, dicevamo, è la vera
e più alta conquista di Secomandi.
Una conquista visuale che, coinvolgendo nella sua orbita lo spettatore,
diviene anche conquista umana e spirituale.
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