Enotrio
Mastrolonardo, presentazione - Galleria Cadario - Milano ottobre
1966
L’arte
contemporanea è in continuo movimento in un divenire che perennemente
si rinnova con il rinnovarsi dei concetti, dei problemi, delle proposte,
attraverso i cui dibattiti sono stati ormai superati i significati
e le funzioni che comunemente vengono dati alle espressioni sia pittoriche,
sia plastiche, comunque artistiche.
Oggi, che persino il concetto dell’arte viene messo in discussione,
per cui sono caduti gli antichi miti della vocazione e dell’ispirazione
che fanno dell’artista, secondo una logora immagine romantica, quasi
un semidio in stato di grazia o una specie di missionario in perenne
estasi, ma - forza dei ricordi letterari - per definire l’artista
di un tempo sarebbe forse meglio ricorrere all’usato slogan di assai
cattivo gusto “genio e follia”, oggi, dicevamo superata la vecchia
concezione dell’arte come interpretazione soggettiva e dell’artista
come interprete - cioè, di un’arte sbocciata nel cuore e nello spirito
dell’artista sotto lo stimolo di un sentimento o dinanzi allo spettacolo
della natura e della vita, per prendere poi forma e sostanza per mezzo
degli strumenti e dei modi offerti dalla pittura o dalla scultura
- oggi dunque, l’arte non può essere che il risultato minuziosamente
programmato e sicuramente previsto di una complessa operazione, in
cui sono riassunti somme, calcoli, misure, verifiche, materiali colori,
movimenti, luci ed ombre impiegati nel senso e al fine disposti dall’artista,
il quale, allora, diviene un vero e proprio operatore, non tanto dissimile;
poi, da quegli operatori industriali (ingegneri, tecnici, designers),
che nei loro laboratori scientifici studiano e preparano i piani di
progettazione e di lavorazione degli oggetti, dei pezzi, degli elementi
dei congegni di una produzione, la cui civiltà è in continuo sviluppo
come conseguenza di una esasperata civiltà dei consumi.
Gianni Secomandi ha ben compreso tutto ciò ormai da anni ed ha saputo
intelligentemente inserirsi nel complesso meccanismo dell’arte d’oggi
- se ancora si può chiamare arte quell’insieme intenso e spasmodico
di ricerche, e di sperimentazioni di materie e di strumenti assai
più vicini ai mezzi industriali che non a quelli tradizionali congeniali
alla pittura o alla scultura - in quel particolare problema della
visione, che, oltre a rispondere più intimamente alle sue ragioni
espressive e alle sue necessità di comunicazione, rappresenta certamente
l’aspetto più vivo e attuale di un dibattito che sta impegnando sino
allo spasimo la cultura artistica più avanzata.
E’ stato ormai stabilito che il valore più alto e sicuro per la comprensione
di una opera oggettiva è dato dalla visione; cioè da quella nozione
di visualità che distingue il concetto dei valori tattili di berensoniana
memoria, e certamente anche quelli del contenuto, dando poi per scontato
il superamento dei valori tradizionali quali il tono e la prospettiva
in pittura, il volume e la plasticità delle forme nella scultura,
per cui una opera d’arte la si può comprendere ed apprezzare soltanto
guardandola, quando, naturalmente, ha in sé quei concreti elementi
visuali che possano attirare e colpire la nostra attenzione visiva.
Tutto ciò lo si nota benissimo guardando le opere più recenti di Gianni
Secomandi, realizzate con una tale concretezza materica e una tale
forza oggettuale che esse ci colpiscono immediatamente, penetrando
in noi, nel nostro spirito, attraverso il naturale canale della vista
e dell’osservazione visuale.
Da questa nuova estetica della visione, Secomandi ha scelto la posizione
più difficile, ma anche quella che, secondo noi più profondamente
risponde ai caratteri e ai principi di tale problematica: l’oggettualizzazione
visiva
Rifiutati i giochi coloristici, le scansioni cromatiche, gli effetti
ottici, Secomandi ha voluto rendere visivo l’oggetto, affrontando
il problema nella sua essenza, nel senso, cioè, che l’espressione
artistica può essere avvicinata alla produzione industriale, modificandone
i metodi di produzione per adeguarli alle nuove esigenze.
Secomandi, rifacendo certe esperienze del “Bauhaus”, ha studiato attentamente
le caratteristiche che distinguono la produzione industriale da quella
artigianale e da quella artistica, realizzando le sue opere con esemplare
perfezione tecnica, in cui appare evidente l’insegnamento offertogli
dall’industria, con l’impiego di materiali e mezzi di estrazione ghestaltica,
anche se i procedimenti sono ancora artigianali. Ma, d’altra parte,
non potevano neppure essere diversi, perché Secomandi progetta e costruisce
l’oggetto visuale, il quale assume il significato e il valore di un
modello originale che solo il procedimento industriale potrebbe poi
produrre in serie. Ma Secomandi non vuole, certo, arrivare alla produzione
delle sue opere attraverso una catena di montaggio. Egli costruisce
l’oggetto come opera a sé stante, sulla nozione della visione, affinché
sia vista e capita nei suoi essenziali valori oggettuali e visuali.
Le opere di Secomandi siano tele o lamiere sulle cui superfici uno
specchio (quadrato, rettangolare o circolare) vi si inserisce come
un elemento vivo, in cui si rifrangono e divergono in varie direzioni
i raggi della luce naturale o artificiale, secondo l’angolo ottico,
con riflessi, scansioni, accensioni di una visualità matematica e
scientifica sono pezzi unici e originali, in cui sono riassunti mezzi
industriali e procedimenti artigianali, ma in cui, soprattutto, è
forte e profondo il segno della creazione artistica: creazione, irripetibile
e insostituibile, che è, appunto, l’opera d’arte come misura di una
presenza umana insostituibile.
>>
torna all'indice dei testi >>