Giorgio Kaisserlian, presentazione - Gallcria Numero, Milano, novembre 1963  

Nelle composizioni estrose ed inventate che Gianni Secomandi ora ci offre il “collage” non è un inserto estrinseco, che intenda rompere la consuetudine dei gesti convenzionali che stanno in una dimensione del dipingere, bensì il nodo risolutivo di un’operazione creativa.
Diremmo volentieri in termini musicali, che il “collage” costituisce il motivo essenziale di tutta la trama sinfonica di un’opera. Sopra dei fondi scuri in cui dominano delle stesure color ruggine, e non mai completamente monocrome, Secomandi imbastisce le sue proposte. Dei fili di ferro assumono l’aspetto di linee estrose di un disegno lungamente meditato (ed a questo proposito, basta guardare i disegni del nostro artista per accorgersi di tutte le melodie visive che egli sa trarre da poche linee estrose sopra un foglio). E su questi fili di ferro, nel momento in cui essi fanno groppo e che da essi deve scaturire un nodo espressivo, Secomandi pone degli specchi in cui si rifrange la luce. Si sprigiona dalla composizione un breve incanto elettrico, come un bagliore illuminante sulle acque. Lo specchio non è un momento ornamentale, bensì attesta la piena consistenza di un oggetto.
Secomandi deve continuare con tenacia a concertare stupori e fremiti assorti di oggetti, per arricchire con le sue trovate di nuove meraviglie una presenza irriducibile dell’arte, oggi, che contesta l’essere a tutto l’anonimo che sta in noi.  

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