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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo
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Sergio Dangelo, presentazione in forma di lettera - Galleria Pilota Milano 1975

“Ottovolante dell’Amore”

L’uomo divenne statua
e per fare crescere un poco d’erba
scrisse sul piedestallo
nella sua innocenza
io sono colui
che costruì questa statua.

Achille Chavée

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Per quanto la cosa appaia strabiliante capita ancora, a volta ma di rado, che gli artisti parlino tra loro dell’Arte. Per incredibile e disdicevole che tale cosa appaia, se tali artisti sono pittori (se impiegano, a dire, pennelli colori e tela per esprimere) avviene che discutano “di pittura”. Le generazioni veloci, ansiose di jets privati e taciturne per antitesi, osservano, nei pochi locali superstiti dove di rado si trama pro-arte, gli illusi creatori di immagini, segnandoli a dito mentalmente e mentalmente deprecando. Il fatto  è che, ogni tanto, la parola si fa voce, e, come per caso, politica, bagarinaggio, portierato, sottobosco amministrativo e retribuzione forzata, lasciano il campo a pensieri sull’Arte, sul Come, il Perché e la Verifica. In una clandestina riunione (di recente; un anno, sei mesi?) Jean Raine mi diceva, ad esempio, che si dovrà pure un giorno affrontare il faticoso lavoro di una “Verifica dei Valori dell’Arte”, Gli facevo notare (intimorito, poiché, pittore, accennavo alla pittura) che si doveva anzitutto bruciare tutti, ma proprio Tutti, i testi, i miei compresi, che avevano contribuito (?) a un tentativo di spiegazione dell’Arte e sue ragioni; non tanto perché fossero inutili, semplicemente perché  non vi erano lettori; i quali, ancora “osservatori” delle opere, erano occupati, da tempo, a “scorrere” di preferenza i listini di borsa riguardanti la “quota” dei dipinti. Non proponevo il rogo sulle piazze che caratterizzò una non lontana dittatura (il suo comportamento nei confronti dei resti scritti, pitture dipinte e, a volte, sculture fuse o plasmate) ma un volontario , quieto, lucidissimo incendio quasi festoso. Avremmo pianto dopo. Sempre segnati a dito e intimoriti pensammo (e dicemmo)anche del cinema, del teatro, del bel canto. Esulando dal campo specifico del quadro, lo ammetto. Ma provammo anche noi ad “evadere” un poco. Pittori, parlammo di scrittura; letterati, dicemmo di spettacolo; artisti, raccontammo di poesia. Prima che il proprietario del locale ci invitasse a parlare di sport, di petrodollari riciclati ed ad essere precisi circa gli ultimi prezzi raggiunti alla nota casa di asta, oppure, ultimatum, a lasciare il locale stesso “con nostre gambe”, usciamo sotto le stelle, esattamente, né più né meno, come tutti gli avventori di tutto il mondo al termine di una inutile serata. Ottimisti guaribili, segnati a dito dai contabili, in un silenzio di vita ci eclissammo non furtivi. Rimandammo l’incendio a più tardi anche perché il “tardi” era già adesso. Tra poco un nuovo giorno che iniziava ci avrebbe ospitati nel suo grembo (è romantico, lo so, quale vergogna!) a disegnare con le matite, a dipingere con i colori ad incollare con carta e colla; a fare dell’Arte, sembra strano, noi, gli artisti, strabiliantemente.

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Come non bastasse a “metterci in crisi” (come è di moda dire in questi tempi) il fatto di voler dipingere o scolpire alla faccia dei contabili. notabili, arricchiti e belle vedove, semplicemente “per fare”, ci si misero anche gli astronauti. Sappiamo infatti che, anche se la memoria occidentale è molto corta, l’astronautica domina, impera, vigila, costringe, tramanda, esorta, esorcizza, sgela e muove tutte le attività dei tre regni conosciuti. Dal miagolio ossessionante del gatto al crescere di un Ailantus Glandulosa, o la scelta di un piatto miserevole nel ristorante “falso-medievale” alla corsa campestre pro-Kuwait, dal riparatore dei serramenti in ardesia che dimentica a casa i ferri (o i sassi) del mestiere, dal delirium tremens che mi colpirà se insisto con così viete immagini al pancotto che mangiavo da bambino, dal calzario ricamato sulle calze a maglia fino al contratto garantito dai sindacati autonomi, dal primo all’ultimo momento di ogni scelta, istante, grido, i caschi numerati dominano nelle capsule costose cirilliche o texane, sulle scelte i respiri i fiumi e gli argini. Ma sfugge, all’astronautica, un dettaglio: la graffiata ringhiosa ufesca può straziare allo stremo il globo intero (quello che chiamava, non ricordo più in quale evo, la “cittadinanza di vita e di morte”) condizionarlo o friggerlo in salmì. Ma, miracolosamente, alla scempiaggine spaziale scappa, né si saprebbe come intrappolarla, l’ultima salvezza nostra, una e sola, migliaia di volte tentata, unica e sola: la verifica

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Ora tu mi chiedi, Secomandi, dove intendo arrivare con questa lettera. Ma nel grande studio silenzioso con i tavoli zeppi dei tuoi ferri del mestiere (e le generazioni veloci esterrefatte si chiedono come sia possibile che un pittore dipinga e lo scultore scolpisca) abbiamo parlato, per quanto incredibile ciò appaia, di Arte. E mentre saltavamo letteralmente da un tuo foglio bruciato al pianoforte dove sedette Toscanini, mentre osservavo la tua clessidra come una statua greca messa sul piedestallo al gradino ultimo della scala (quella che porta dalla strada, dopo il cancello, al tuo giardino sospeso) e contemporaneamente l’ombra del telescopio ci fasciava tutti (patrizia, Carla, Iro, Kinkan, tua moglie, tuo figlio e mio figlio e chi ti scrive; così gli amanti del realismo e del reportage preciso al millesimo sono contenti dello zuccherino); mentre guardavo le tracce stentate dei passi dei vecchi che incrociavano galassie ferite (e Burroughs era con noi in effige con gran pace degli esteti dell’iperrealismo; c’era lui e tutta la sua collezione di coltelli affilati, anzi era lui l’ombra del telescopio gigante); mentre accarezzavo la tua colonna col mirino puntato al cielo (così gli editori danesi intravedono il doppio senso, che però io non volevo, perché la colonna era in cemento e il mirino uno specchio di sette centimetri circa di diametro); mentre guardavo i piccoli fogli bruciati in un punto r mi consolava il fatto che fossero piccoli, pochissimo bruciati e dipinti con fumo e oro (così l’artista “che va per la maggiore” capisce una volta per tutte quanto sia faticoso e  inutile il quadro di quarantadue metri quadrati dipinto con tutti i colori più costosi; faticoso per lui da fare e inutile, e non solo per me, da guardare); mentre io mi chiedevo perché (accidenti alla verifica sempre rimandata) i tuoi oggetti, carte, piccole tele anche fumo e oro più una lettera dell’alfabeto fossero ferme lì e non si potessero mostrare ad Achille Chavée , il poeta pellerossa morto del male cosiddetto del secolo e che avrebbe amato il tuo lavoro, lui per cui la notte comincia quando lui voleva ad un suo cenno, lui che parlava del gran segreto; mentre io dicevo a me stesso e poi a te che bastavano un segno e un sogno a creare poesia (altro romanticismo, altra vergogna!); mentre io scoprivo stella dopo stella, che esisteva un’astronautica non ostile semplicemente chiamata “della fantasia” o anche “Ottovolante dell’Amore”, tu sapevi già dove sarei arrivato il giorno che avessi scritto di te e del tuo lavoro. Sarei sbarcato da un vecchio biplano con le mie note nella tasca meno bucata della giacca a vento, avrei guardato il cielo all’ora d’estate di Tanguy, avrei sorriso ai patetici caschi numerati che ci dominano, certo di viaggiare e di vedere di più leggendo nelle tavole dei tuoi cieli, sicuro che la Verifica anche grazie a te non si intrappola. Perché la tua Arte (insolita parola!), anche se tu conosci meridiani e paralleli, se conosci veramente tutti i termini di incontro delle costellazioni e il tuo lavoro (e qui sistemiamo anche un paio di sociologi) sono così vicini a quella legge di gravità (ma alla rovescia) che guida non solo i passi dei vecchi ma registra i battiti del cuore, registra giorni di venticinque ore (nove come le dita della mano) senza i “come” né i “perché”, talmente vicini da avvinghiarsi come liane ai baobab lunari. Intendo anche arrivare a una domanda; amico mio e poeta, Greenwich è una stazione climatica o il definitivo futuro cimitero dell’astronautica suicida, sfinita dalla vana caccia alla Verifica? Mi risponderai dopo quell’incendio festoso che osserveremo, entrambi con giacca di velluto, da lontano, grazie al tuo telescopio. Una cometa......

Gemmaalt settembre 1975

 Sergio Dangelo 

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