Eligio
Cesana - presentazione, Galleria Giuli, Lecco - 1984
Gianni Secomandi -
Tactus
Questi “ritratti” di poeti, narratori, musicisti, filosofi... sono
l’ultimo ciclo di opere create da Gianni Secomandi e ancora inedite.
Sono immagini dettate dall’urgenza, si direbbe dalla premonizione,
di rivitare gli autori di messaggi culturali e di espressioni poetiche,
di cui Secomandi si era nutrito giorno dopo giorno, fino ad assorbirli
come parte viva del suo pensare, del suo sentire, del suo modo di
esistere. Dei tanti strumenti trovati o reinventati nel corso della
sua attività creativa, per questo suo ultimo lavoro ha utilizzato
soltanto quello più povero: il segno della matita che aveva usato
soprattutto per le sue annotazioni più intime e segrete; quando usava
il foglio da disegno come equivalente immediato della pagina di diario.
Ma non è più il segno svelto, nitido, filante con cui tracciava armoniche
vicende astrali, né quello trepido e divagante con cui registrava
i moti di presenze viventi nell’atmosfera circostante.
Un segno trattenuto da sommessi soprassalti emotivi, scandito dal
pulsare inquieto di un respiro che si fa strada lentamente, mentre
sale dagli strati profondi dell’inconscio come se attraversasse fluidi
spessi, palpabili.
Secomandi non descrive, non rappresenta in forme chiaramente decifrabili
i “suoi” personaggi.
Quel tanto di riconoscibile che traspare dall’impatto di una grafia
quasi informe, è il risultato del percorrere e ripercorrere la superficie
con la matita, annotando o cancellando via via che affiorano dalla
memoria le linee di un profilo, la plasticità di una piega, il divenire
di un gesto mimico.
Più che un vedere con gli occhi è un percepire le dimensioni quasi
tattili di una presenza evocata, insieme più labile e conclusa di
quanto viene soltanto immaginato: una disposizione struggente e rarefatta,
che assomiglia a quella di chi si offre come tramite medianico di
un evento che si può soltanto propiziare e non determinare.
Mentre i gesti che lasciano traccia sul foglio sembrano quelli di
un rito, l’unico processo capace di rivelare quei connotati latenti
e inafferrabili di una personalità, che sfuggono anche ad un’analisi
attenta dei tratti somatici.
In realtà, quella di Secomandi è stata un’operazione squisitamente
introspettiva, un modo di ritrovare gli autori prediletti, cercando
di scoprire quei semi che sono trasmigrati dentro di lui per effetto
di un rapporto di empatia, più pregnante di una complicità ideologica,
persino di un pur sincero culto della personalità. Un gesto di immedesimazione
vissuta ed integrale, quindi; un tentativo di ritrarre dal di dentro,
di esprimere un modo di esistere, più che di rappresentare dei personaggi
attraverso il solo tramite dei connotati visibili. Con risultati che,
alla fine, si dimostrano carichi di umanissima poesia.
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