Eligio
Cesana -"Secomandi", in Centroarte n. 1 - 1968
Intorno al 1960, abbandonato
ogni riferimento al mondo esterno, il linguaggio di Secomandi appare
teso ad una modulazione luminosa dello spazio. Egli comincia quindi
a sperimentare strumenti e materie più congeniali alle individuate
esigenze linguistiche e dapprima stempera leghe metalliche su tavole
nere, creando luminescenze argentee intorno ad un segno dinamico che
ricorda la forma di un “boomerang”. Questa proposta è presentata in
diverse personali a Roma, Venezia e Londra.
Col 1963 Secomandi comincia a introdurre nelle sue opere lo “specchio” allo scopo di incrementare e modulare la
presenza di luce nell’immagine.
Dapprima esso interviene sotto forma di frammenti variamente dislocati,
quindi diventa unico e di forma circolare: si colloca nel centro focale
dell’opera formata, nelle restanti parti, da zone dipinte in nero
o bianco assoluto e da bande e filamenti metallici saldati. Lo spazio
appare scandito mediante la giustapposizione delle materie secondo
schemi gestaltici.
Questo periodo che si sviluppa con numerose variazioni fino al 1966,
vede una vivace attività di Secomandi in Inghilterra, Svizzera, Stati
Uniti e Cecoslovacchia.
Col 1966 (personali a Milano alla Galleria Cadario, Bergamo Galleria
Il Fondaco), le bande metalliche sono sostituite o accompagnate da
segnali chiaroscurali ottenuti mediante trattamento fumogeno della
superficie.
La produzione del 1967 presenta la comparsa di simboli iconici espliciti
o allusivi realizzati coi mezzi e le materie precedenti, a cui si
aggiungono trattamenti chimici delle superfici metalliche e materiali
plastici trasparenti. Queste nuove e esperienze compaiono per la prima
volta in una personale alla Galleria Cadario di Roma nell’autunno
del 1967. Prima d’ora, il discorso di Secomandi scaturiva da un impatto
di materiali coordinati secondo le esigenze di un’architettura estremamente
rigida: l’iscrizione di forme quadrangolari l’una nell’altra e la
loro relazione con un cerchio, costantemente rappresentato da uno
specchio.
Adesso lo specchio circolare è diventato una “pupilla” e gli altri
segni tipici del repertorio di Secomandi, senza snaturare, si sono
piegati per assecondare la denotazione del simbolo: un occhio campito
di una superficie intensamente bianca oppure nera.
La metafora specchio-occhio, già oscuramente sottintesa nelle precedenti
proposizioni formali, quasi di prepotenza si è manifestata in forma
esplicita. La nuova immagine iconica sembra infatti scaturire da quelle
proposte precedentemente da Secomandi, per metamorfosi necessaria,
perché stimolata dal germe simbolico insito nell’oggetto. La dimensione
rigorosamente visualistica offerta da un rapporto altamente contrastato
tra zone bianche e nere nonché dalla luminosità mutevole dello specchio
che si carica del pregnante intervento del mondo che vi si riflette,
si concilia colla dimensione simbolico-figurale in un equilibrio aperto.
L’opera, che è insieme immagine e oggetto, ha una complessità di significanze,
malgrado la schematica semplicità dei segnali che la compongono.
Al limite dell’istrumento rituale, l’occhio realizzato da Secomandi
palesa una carica di intensa magia che permea il dato percepibile
sensorialmente di prerogative quasi ipnotiche.
La perentorietà del significato figurale elude per questa via le conseguenze
della sua disarmata chiarezza, ponendosi come dato emblematico e quindi
stimolante proprio per la categorica manifestazione della sua esistenza
e consistenza.
A questa soluzione, Secomandi, ne contrappone dialetticamente una
al tempo stesso simile e diversa.
Negli “sferoidi” ancora
una volta una forma circolare compare in uno spazio, determinato in
questo caso solo da un marcato contorno quadrangolare. Mentre lo “specchio-pupilla”
è
presentato nella sua consistenza abituale, cioè interviene allo stato
di ready-made, negli “sferoidi”
la lamina metallica
circolare è intaccata da umori corrosivi che ne modulano la lucentezza
e la continuità, quasi a somiglianza di macerati corpi astrali.
La natura informalistica dell’intervento si ferma tuttavia all’interno
del segnale circolare che assume cosi il carattere e la funzione di
un oggetto, inventato ma non meno concluso dello “specchio” trovato.
Anche lo “sferoide” si affaccia totalmente rotondo e attonito nel
suo spazio che, se pur non raggiunge la sagoma esplicita della cornea,
ne conserva la proprietà di contenitore organico. Analoga e diversa
anche la carica di magia, a cui anche qui si affida la forza oscura
e prepotente del messaggio: qui primordiale, là razionalistica ma
sempre campita in un’architettura che affranca da un ambito emozionale
immediato.
Fuori dalle correnti codificate dell’arte contemporanea, Secomandi
ha tratto alimento dalle esperienze del nostro tempo per costruire
il proprio linguaggio con prerogative singolari che gli consentono,
senza mutare la natura dei mezzi impiegati, l’apertura a soluzioni
assolute da contenuti obbligati.
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