Eligio Cesana, in occasione della intitolazione a Gianni Secomandi della Biblioteca Comunale di Vercurago gennaio 1983

Rileggendo l’opera di Gianni Secomandi ad un anno dalla scomparsa, il connotato più evidente rimane l’inesausto divenire del suo linguaggio, l’originalità dei mezzi e degli schemi strutturali, l’apparente facilità nel trovare o reinventare materie o segni tra loro apparentemente inconciliabili, che tuttavia riusciva ad ordinare in un contesto dialettico insieme discreto e omogeneo.
Al di là della sua vocazione di sperimentatore, c’è però un aspetto che trascende quelli riferibili alla consonanza del suo lavoro, con il clima storico e culturale circostante: che cioè va oltre la pur apprezzabile “attualità” del suo discorso.
E’ infatti ancora oggi sorprendente e non datata, la felicità dei risultati, quella che nasce dalla capacità quasi medianica di Secomandi di rendere espressivi anche i materiali più riluttanti ad ogni temperamento sensibile o di interiorizzare i segni apparentemente più asettici.
Come sorprende la sua capacità di trasformare un accumulo di dati selezionati dalla ragione (talvolta con il rigore addirittura scientifico) in un tessuto vivo e vibrante, che tradisce e mozioni impalpabili, e ricupera spazi lirici insieme remoti e vicinissimi alla condizione umana contemporanea. 

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