Luciano Caramel - presentazione, Galleria Pater, Milano - 1961

Ormai sempre più largamente si diffonde l’insoddisfazione per una gestualità che ha perso ogni giustificazione arenandosi in una accademia evasiva, addirittura arcadica, a dispetto dell’esteriore ostentata irruenza.
L’orgasmo informale, nato per contrastare il passo al formalismo estetista, sembra esserne diventato l’erede più legittimo. Lo stesso equivoco d’una matericità incontrollata, autonoma, autosufficiente, va disgregandosi mentre si torna finalmente a porre l’accento sull’intervento attivo dell’artista rivalutando quei valori di giudizio e di coscienza che sembravano irrimediabilmente perduti. Anche Secomandi ha sentito la necessità di evitare l’illusoria libertà automatica e di rigettare qualunque avvilente e gratuito istintivismo. Le sue opere migliori sono saldamente impostate, costruite con chiarezza, a volte addirittura con rigore perentorio. Non mancano, è vero, le reticenze, le allusioni, i sottintesi, ma sono flessioni che caricano le sue tavole d’inattese e più ampie suggestioni, che non ne corrodono mai integralmente la meditata organicità strutturale. La stessa luce che avvolge ogni tratto, smorzando qualsiasi troppo crudo contrasto, piegando la sostanza cromatica opaca e sabbiosa, contribuisce a dar unità alle composizioni.
Chi ha seguito l’evoluzione del giovane pittore lecchese sa che questi non sono risultati casuali ma la conseguenza di un cammino coerente e non privo di sofferte incertezze: sono una conquista, non una occasionale esperienza.

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