Piergiorgio Ostili


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Ho conosciuto, durante gli anni '50 (forse nel '56) Pier Giorgio Ostili. Eravamo compagni di scuola al Liceo Artistico di Torino e diventammo amici. Malati di pittura, ricordo i pomeriggi trascorsi, anche con Gian Luigi Mattia, nei negozi dei loro genitori in corso Svizzera, a discutere sui nostri lavori e a dibattere sulle questioni "calde" dell'Actions painting e sui problemi del Post-informale, ed ancora: Moreni o Pinot Gallizio? Intanto Ostili: chiuso, appartato, solitario, timido, ma anche aggressivo... contro se stesso? o contro gli altri? Così lo ricordo: sempre con quelle sue basette e quel suo modo ironico con cui cercava un distacco dalle cose. Negli anni '70, ormai trentenni, ci rincontrammo sempre sugli scaloni dell'Albertina, ora non più come allievi, ma come insegnanti nello stesso liceo, che ci vide crescere. Nel '76 io fuggii a Milano e ci perdemmo di vista. Ora so che si è felicemente sposato con una signora russa, che è meno aggressivo e forse meno timido e mi dicono che dipinge quadri che finalmente ha deciso di far vedere non solo a se stesso.

Beppe Devalle

(...)La buona volontà di Pier Giorgio Ostili ad esporsi questa volta è innegabile, ma l'intervista si presenta fitta di slittamenti di senso o di tono, di ribaltamenti ironici, che non portano certo a quella chiarezza un poco didattica che è tipica di situazioni similari. L'incognito pittore tutto d'un colpo, riconoscendolo come "personaggio", completo delle sue complicazioni, sfaccettature, anche contraddizioni. Quel modo di tergiversare che si impenna in improvvise urgenze, quella curiosità quasi ansiosa mista a distacco quasi indifferenza (ma non sai se l'indifferenza sia un alibi della curiosità, o sia la curiosità una strategia dell'indifferenza), quella lucidità d'analisi usata non per risolvere, ma per intrecciare, annodare inestricabilmente i problemi, quello stare appartato come un gatto sulla soglia (per timidezza, per sospettosità, per non essere coinvolto più di tanto , riservandosi comunque una via di fuga), ci par proprio , tutto ciò, di averlo già incontrato da qualche parte , per esempio nelle pagine di un racconto russo o di ambientazione mitteleuropea, fino alla Trieste di Svevo. E l'intuizione ci convince nemmeno solo perché qualche artista - scrittore per esempio - ha saputo "rappresentare", cioè cogliere in flagrante evidenza ciò che l'analisi non riusciva ad afferrare in parti distinte e tantomeno ad organizzare in sistema plausibile, ma perché la figura in questione è proprio "artistica". Ostili organizza così com'è un rapporto artistico con il mondo, cioè di contemplazione problematica. Perciò, a lungo, non è stato necessario che "producesse" nei generi dove pure si era dimostrato assai capace. Non a caso, nella parte più impegnativa (e meno difesa) dell'intervista, piacere e arte (o Piacere e Arte?) si collegano intimamente, appena distinti, forse, dal grado di consapevolezza e conseguentemente d'artificio su un versante, dal grado di partecipazione sull'altro versante (per tutto circolando una specie di ironia esistenziale). Negli ultimi anni si è verificato un fatto degno di nota: Pier Giorgio ha trovato una via più diretta alla manifestazione artistica, cioè meno condizionata da strutture linguistiche forti, e insieme più oggettiva, in quanto affidata a processi di ripresa e registrazione meccanici (ma è anche vero che il medium tecnologico è provocato da interventi perfino gestuali, che liberano un'aggressività sorprendente). I1 doppio movimento gli era necessario per realizzare appieno quella meditazione sul linguaggio artificiale che, alimentato dal "piacere", trascinato dalla seduzione e "dall'amore", "sporcato" ma anche esaltato dal pathos, potesse tentare la sintesi armonica dell'immagine, sublimante resoluzione dell'esperienza imprescindibile della caduta; non meno che per scivolare tra barriere formali sempre minacciate della retorica, da una insostenibile, al momento, esemplarità.

Pino Mantovani

Nel lavoro di Pier Giorgio Ostili esiste una stringente volontà di eliminare, senza illusioni, il confine tra rappresentazione e dato reale, per trovare un margine di "contatto", la dove il pennello, la luce, la carta fotografica, fanno da tramite ad un'immagine che è solo sé stessa, non importa se progettata, o casuale. Le "figure" che affiorano tra "lumen" e tenebra nel lavoro di Ostili stanno su una soglia di un'ambigua visibilità, o anche di un'ambigua tattilità. Ogni opera si compie totalmente quindi nel preciso limite che l'operatore si pone e dentro il quale indaga, senza il peso del carisma storico dell'immagine dipinta, per privilegiare un'autentica pregnanza psichica. Questo tipo di approccio all'arte, capace di eliminare i processi sintattici della "matita", talora frusti, scredita da una parte la facile discorsività dell'allegorismo figurativo, e dall'altra la regressione verso il gesto esistenziale. Le opere di Ostili hanno in sé vitalità, molteplicità di direzioni operative, immediatezza di comunicazione e riescono a rompere l'inerzia e l'abitudine della percezione.

Marisa Vescovo

Un giorno incontrai casualmente da amici Giuseppe Caputo giornalista. Dai nostri divertiti discorsi scaturì l'idea dell'intervista al "pittore sconosciuto". Furono poi i suoi apparecchi di registrazione, sempre inevitabilmente guasti, con cui Caputo armeggiava per ore....."Uno, due, tre...fiiii....fiiiii...non so. Forse è il microfono che non funziona! Le pile le abbiamo cambiate vero? ....Ma!" Che mi indussero una sera a prendere una biro ed a scrivere questa benedetta intervista integralmente di mio pugno.

"L'INCOGNITO PITTORE"

Siamo nello studio di Pier Giorgio Ostili, ed ecco, dopo i convenevoli di rito cortese, la prima inevitabile domanda d'approccio per fare la sua conoscenza. Ma chi è Pier Giorgio Ostili? Che dirvi?... Cenni storici!....Oh si! Ricordo, ad esempio quel giorno al mare... "Sei un leone con tutti gli ascendenti in vergine!" "Miseria" Esclamai. "Un leone Vergine!" Quando mi giunse questa voce, dall'attiguo terrazzo, ero serenamente seduto sul water. Me la gridò Graziella, la mia carissima amica, brava astrologa, che stava indagando con la mia data di nascita sulle sue strane mappe. Io, nonostante lo sconcerto, rimasi ben saldo sui piedi, anche perché, come accennavo, ero seduto. Nacqui a Torino, nel lontano 1938, e poiché ho un inquietante ricordo di molte situazioni occorsemi dall'età di due a sette anni mi sono sempre considerato un reduce di guerra. Debbo aggiungere che, col finire di quel temibile conflitto, per me non finirono i traumi. Infatti mi trovai a continuare la scuola in un istituto Salesiano: con le messe ogni mattina, gli esercizi spirituali, il "quante volte" e mille altre colpe. Ma poi crebbe! Sì, non potei trattenermi. Ma l'età puberale fu drammatica. Passai dall'innamoramento per Diana, la donna dell'uomo mascherato, alle signorine in carne ed ossa di cui conoscevo anche l'indirizzo. Ma tutto ciò che riuscivo a fare, in quei cattolicissimi anni '50 della Madonna Pellegrina, consisteva nel guardarle con molta vergogna e molta finta distrazione quando le incontravo per strada. E poi? Per il resto dell'adolescenza un'alternanza di malesseri furono attentamente indagati da più medici, i quali unanimi, pronunciavano l'acuta diagnosi di Esaurimento Nervoso, un male assolutamente incurabile, per il quale cioè l'unico rimedio sarebbe l'attesa. "Vedrà signora" dicevano alla mia super-apprensiva madre, "verso i trent'anni diventerà normale". Ancor oggi quando al riguardo di "nobili imprese" mi dicono: "Eh, non abbiamo più vent'anni!". Io li guardo stupito e dentro di me dico: "Meno male!" E l'arte? Oh certo, il piacere! Anche se oggi al di là dell'estetica è guida la dialettica. A me pare che dopo la "morte dell'arte" (1961), ogni gesto o atto dell'artista si giustifichi come simbolo, nel gioco, spesso ambiguo, dei concetti, o magari contempli separatamente il significato dei significanti. Ma mi consenta di porre qui una domanda retorica: perché questa tanta ancorché nascosta e negata, paura del Piacere? perché cosi misconosciuta la sua sacralità? Senza "l'invenzione" del piacere non sarebbe accaduto il mondo, cioè il processo biogenetico, con tutta la sua gioia e il suo dolore, quindi la vita, la coscienza, l'arte. Anzi senza di esso non sarebbe accaduto proprio nulla! Intanto l'arte che è artificio, linguaggio, meditazione, è trascinata dalla seduzione e dall'amore così come dalla tragedia e dal pathos per diventare armonia, (quando non è sacrificata alla sola dialettica). Questa linfa del cielo, sfuggita agli Dei e carpita dagli uomini, ha subìto, con essi, tradimenti e umiliazioni. Anch'essa attraverso questo difficile cammino ha forse voluto divenire "preda", lasciarsi sporcare, patire il mondo, e tutto ciò, perché infine, paradossalmente , è per questa via che si conquista il dono della "caduta" senza cui non potrà svelarsi la luce della salvezza. Perdoni se la interrompo, ma...vorrei rettificare la domanda: mi parli della SUA arte . Mi rubavano sempre i quadri! E' stata la tragedia del periodo giovanile. non che fossero delle opere d'arte, ma sparivano! Sarà che mia madre ed io eravamo un po' ingenui! Ricordo, ad esempio, quell'occasionale incontro d'un amico di amici il quale, al cospetto dei miei quadri, sfoderò zelanti lusinghe, mostrando quell'affabile sincera disposizione d'animo per la quale riporresti nelle sue mani anche il portafoglio. Ebbene questi terminò la sua toccante performance dicendo: "Conosco persone importanti nell'ambiente dell'arte, permetta che mostri loro questi suoi dipinti e vedrà...". Col passare degli anni mi fu sempre più nitido quel deserto senza la più pallida ombra, che sempre più chiaramente si delineava dietro quelle spalle "amiche" che si allontanavano da me con i miei dipinti sotto al braccio, ancorché accompagnate, nel loro dileguarsi, dal mio sguardo (un po' imbecille), colmo di orgogliosa gratitudine. Per altro verso, la mia amatissima madre! Che senza far parole ad alcuno, regalava con zelo i miei dipinti ai vari medici di turno volendo ben figurare in occasione del Natale o della Pasqua. E poi all'Accademia quando alla fine dell'anno scolastico non trovavo più i miei lavori per l'esame. E quella volta del trasloco, che lasciai alcuni cartoni dipinti ai piedi dell'ascensore avendo cura di sistemare subito le cose più importanti, e quando tornai per un altro carico, inspiegabilmente, non trovai più quelle mie fatiche. Inaudito! Fu allora che, per la prima volta, pensai seriamente di smetterla con la pittura. Affermavo: "E' un campo per nulla proficuo!" Mentre la seconda volta che decisi di smettere fu nel 1968 allorché, tenendo una mano sul cuore, una mano sul sacro "Capitale" di Marx e l'altra sui saggi d'arte di Argan e Hauser, dissi: "basta!", manifestando forti sentimenti, ovviamente ostili, contro la nefanda cultura borghese. Comunque sia il reale, irresolubile problema della produzione artistica consiste infine nel fatto che, se pur l'arte è morta, gli artisti continuano a campare ed io con loro, per grazia di Dio e per volere dì mia moglie che vuole essere la moglie di un artista. Ma non vuol dirci nulla sul MERITO della sua pittura? E' vero, su questo ho glissato. Del resto come dire di tanta contorta questione? Come ritrovare il tono della leggerezza che ci lenisce? Che ci salva? Ma sì! ... La pittura è stata ed è per me una rincorsa. I1 tentativo di acciuffare, ghermire il seducente, la seduzione. Ricreare con l'immagine l'illusione della "cosa" il suo virtuale possesso... Ma sarà proprio così?! Infine quanto: l'insondabile, raccontato con quelle, ma forse uniche, "parole-giudizio" che ci ritroviamo, non rischia di scivolare sul filo stordito della perversione retorica?! Mi consenta ancora la rituale domanda sui suoi progetti. Oh si! Certo ho un'aspirazione nascosta, (del resto è l'ultima che mi rimane). Considerando che a molte cose basilari della vita sono giunto in tarda età: mi sono sposato da poco, ho ritrovato la pacificazione dell'arte, mi predispongo alla mia prima mostra, insomma non mi rimane che la speranza di diventare un Agé Prodige.

NOTE TECNICHE - Certo può balenare l'idea, a chi si accontenti di immagini, di voler catturare quelle proprie intime fantasie visuali che, purtroppo, non è ancora possibile oggettivare con un semplice CLIC fotografico. Ed è anche possibile che una siffatta persona, trovandosi ad avere una innata familiarità col disegno, si faccia pittore, nel tentativo di bloccare le sue amate visioni sulla tela. O inversamente può capitare che un pittore scopra, nel suo operare ricerche formali, come una sia pur consueta tecnologia, unita all'invenzione di un banale artificio, possa consentirgli di simulare, senza macchina fotografica, quel CLIC, riuscendo in questo modo, quasi come per magia, a fissare sulla carta, quelle sue intime ed amate fantasie visuali. Certo fu il desiderio e la curiosità che condussero il pittore a speculare. Così, la sua mano addestrata, si mise a dipingere su superfici trasparenti, con colori trasparenti, su formati uguali alle normali diapositive di 24x36 millimetri, poi la luce del proiettore compì l'artificio. Ma poiché i dipinti così fatti risultarono facilmente deperibili, il pittore si recò dal fotografo, gli consegnò quei suoi piccoli originali e con nonchalance gli disse: "Mi stampi queste "diapositive", ma grandi, come piacciono a me!".

Pier Giorgio Ostili


PIER GIORGIO OSTILI è nato nel 1938 a Torino. Si è diplomato al Liceo Artistico e all'Accademia Albertina. Dal 1966 insegna discipline pittoriche presso il Primo Liceo Artistico Statale della sua città.


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