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Oggi alle soglie del terzo millennio il rapporto tra uomo e natura pare essere definitivamente compromesso, e già si affacciano, come sembra, più probabili ipotesi di catastrofi naturali di portata planetaria. Davanti alla posta in gioco - la sopravvivenza stessa della terra e con essa della specie umana - non sono proponibili le piccole strategie fino ad ora messe in atto: il problema grandissimo da cogliere è quello della compatibilità dello sviluppo economico con l'ambiente globale. Anche il filosofo Hans Jonas, recentemente scomparso, in una diagnosi rigorosa di questo periodo, prende in considerazione il pensiero dell'esistenza da un lato e l'incredibile progresso della tecnologia dall'altro e propone all'umanità intera di ispirarsi ad un'etica della responsabilità e di stipulare un contratto di pace con la natura. Tutto questo ci porta a fare un balzo in avanti in senso spirituale verso una conoscenza non solo più completa della natura, che ci è esterna, ma anche del nostro più profondo, più intimo mistero. Maurizio Cosua, nato in una terra d'acqua come quella ferrarese, ma da ormai lungo tempo residente a Venezia, più di altri sente accanto a sé il disastro senza confini della terra e dei suoi polmoni vitali. La scomparsa della "natura" significa la scomparsa della vita e viceversa. L'ambiente e il luogo in cui stiamo e nel quale ci riconosciamo. L'ambiente è ciò che ci circonda, diaframma fra dentro e fuori, una soglia che ci permette di incontrare l'altro. Se l'apocalisse continua ad essere un'eventualità sempre possibile, ne consegue che il problema dell'uomo, e di un artista come Cosua, può essere posto anche dal punto di vista della separazione, separazione dallo stato di sicurezza, separazione dalla vita. La nostra coscienza è il presentimento dell'inevitabile essere separati, è all'origine dell'angoscia che tormenta l'uomo, forse tanto più intensamente quanto più egli deve allontanarsi dalla natura, un fatto che sta all'origine del suo destino e della sua storia. Basta guardare i lavori di Cosua, degli ultimi dieci anni, per vedere e per capire che il suo ossessivo rifarsi alla terra come materiale ha un senso preciso. Anzi se pensiamo ad opere degli anni '90, in cui paesaggi di terre arate, od appena vangate (costruiti totalmente con la terra), testimonianza di un primitivo che vede ancora nella natura uno spazio "amato" in cui l'uomo può proiettarsi, vanno a confinare in una porta a cancello (fotografia) come quelle di una prigione. E tale porta rappresenta il luogo di passaggio verso il mistero. La porta (già nel lavoro di Cosua degli anni '70) e l'apertura che permette di entrare e di uscire, dunque il passaggio possibile da un campo all'altro, spesso nell'accezione simbolica che va dal campo profano al campo sacro. L'alternarsi dell'apertura e della chiusura della porta esprime dunque anche il ritmo dell'universo. In questi lavori l'intenzionalità è di lasciare una traccia non codificabile, ma solo energica, che si manifesta sull'apparente semplicità che ne rafforza l'impronta culturale. In queste opere di Cosua, ma anche nelle altre, scompare l'uomo a favore di un apparato di energia e del mutamento delle cose. Anche nei lavori più recenti in cui troviamo: terra, carta e materiali vegetali (come foglie e baccelli) Cosua affronta con forza il tema della "terra", quale ricerca di un'immaginazione materiale che si attiva quando la coscienza viene a contatto con la materia del mondo nei suoi quattro elementi costitutivi: fuoco, acqua, aria, terra. L'artista elaborando i suoi manufatti sostanzialmente con la terra ne esplora le forze, offrendoci quindi una carrellata di immagini che hanno via via per denominatore comune la durezza, la friabilità, il peso, che si precisano emotivamente nel fascino dell'impasto, nell'attrazione sensuale di ciò che è vischioso, in continua metamorfosi e anche forse deperibile. I quadri di terra di Cosua si oppongono simbolicamente al cielo, come l'oscurità alla luce, come tendenza verso il basso, l'interiorità delle cose. Tutti gli esseri ricevono nascita dalla terra, poiché essa è femminile e madre, ma è sottomessa al potere fecondatore del cielo. Assimilata alla madre, la terra è un simbolo di fecondità e di rigenerazione. Eschilo, nelle Coefore, dice: "Essa partorisce tutti gli esseri, li nutre, e poi ne riceve nuovamente il germe fecondo". Le acque rappresentano per Cosua la massa dell'indifferenziato, la terra i germi della diversità. All'interno delle superfici di terra l'artista pone foglie, baccelli, piccoli rami fronzuti, magari appoggiati su un materiale fragile come la carta, che è deperibile con l'acqua. Queste presenze arboree dove l'albero aveva un ruolo assiale che lo rendeva strumento di comunicazione tra il cielo e la terra, cosmo vivente in continua rigenerazione assurgono qui a simbolo di vita in continua evoluzione, soprattutto quando le foglie sono caduche e già secche. L'albero riunisce infatti tutti gli elementi: l'acqua circola con la linfa, la terra si integra al suo corpo attraverso le radici, l'aria nutre le sue foglie, il fuoco si sprigiona dal legno se lo si strofina. Nel lavoro monocromo di Cosua la foglia sempre disidratata, partecipa al simbolismo generale del regno vegetale, un gruppo di foglie indica la collettività, unità in una stessa azione, in uno stesso pensiero. Quelle che Cosua ci fa ancora vedere sono reliquie di un santuario, sono resti di un paradiso perduto, di uno spazio umano smantellato. Siamo di fronte ad opere impregnate di un clima cupo e terragno, opere in cui la febbricitante immaginazione romantica scatena tutti i suoi fantasmi. Per Cosua lavorare con la terra significa lavorare col mito, significa raccontare l'esistenza di se stesso e delle cose che lo circondano, di un universo primigenio che sta diventando sempre più lontano e privo di sacralità.
Marisa Vescovo
TERRA-PITTURA
Fin dagli inizi, Maurizio Cosua si è trovato a coltivare La propria creatività in una temperie in cui la pittura non veniva più ormai universalmente considerata come cosmos invalicabile, bensì, per molti versi, come il frutto di una eventuale scelta, di un'opzione tra le tante possibili. La pittura ha le sue norme, però Cosua è stato un artista che a lungo ha cercato di ubbidire solo alle leggi delle proprie idee, privilegiando ciò che intendeva mostrare, rispetto al mezzo usato per manifestarle. Contrario ad ogni ambizione troppo artistica, troppo pittorica, troppo professionistica, egli, spesso, non ha tentato di acquisire preventivamente un'abile perspicuità nell'uso degli strumenti, sovente impiegati in maniera volutamente problematica. Semmai egli ha frequentemente puntato alla successiva scoperta e evidenziazione della lucidità e dell'efficacia dei risultati esecutivi dei propri percorsi mentali, sempre volti al superamento di ogni mera constatazione dell'infinita molteplicità del reale, per indagare la difficile, ma vivificante complessità di ogni singolo ente e delle sue infinite relazioni. Ben consapevole che senza la vaghezza e la selettività dello sguardo, tutto ciò che ci circonda affonderebbe nel cieco abisso della passiva indifferenza e dell'afasia, Cosua ha cominciato coll'interrogare gli spazi della sua esistenza, l'ambiente urbano, la propria abitazione, il proprio studio, la propria città: la natia Ferrara, lo straordinario labirinto d'acque e di cieli di Venezia e le aspre e dilatate estensioni tecnologiche e industriali dell'allora attivissima e inquinatissima Marghera - avvalendosi di una cubica struttura, dapprima solo internamente, poi anche esternamente speculare, in grado di catturare una sconfinata serie di immagini collegate in situazioni - che non potevano essere previste anticipatamente - da poter scegliere e testimoniare fotograficamente, in molti casi utilizzando anche alcune riproduzioni del reticolo neoplastico mondriano per diaframmare variamente e arginare la infinita moltiplicazione e frantumazione degli esiti visivi così prodotti. Tramite queste operazioni volte a sottolineare i molteplici aspetti di una sempre rinnovata dialettica tra presenza e allusione, tra contiguità e distacco, fra superficie e virtualità, fra interno ed esterno, Cosua veniva in tal modo indirizzando la propria attenzione al limite, all'indefinibile e continuamente mutevole zona di confine fra realtà e finzione, tra il qui e ora e ogni possibile diversità. I1 trapasso, la trasformazione, il passaggio, l'attraversamento diventava quindi il fuoco sul quale incentrare le proprie istanze creative. Non a caso proprio l'immagine della porta diventerà la mutevole e quasi metafisica costante simbolica di molti suoi lavori successivi, realizzati sia avvalendosi dei diversi media tecnologie, come la foto o il video, sia ricorrendo ai più tradizionali strumenti espressivi, come il disegno e la pittura, o, più raramente persino la scultura. Quest'ultima i impiegata per ricreare plasticamente un singolare portale magico-alchemico che l'artista ferrarese aveva potuto ammirare a Roma, nei pressi di Piazza Vittorio, attratto soprattutto dalle due imponenti statue del Dio egizio Bes, grande guardiano del misterioso passaggio tra la veglia e il sonno, tra il controllo e l'abbandono e, più in generale il simbolico custode di ogni possibile attraversamento. L'interesse di Cosua per la completa trasformabilità alchemica degli elementi andava intanto facendosi sempre più forte . Prende corpo così una vasta serie di grandi dipinti, nei quali una ritrovata figurazione. insieme ingenua ed erudita, plateale e quasi grossolana ma allo stesso tempo sublime. verrà riaffiorando nel suo universo creativo. ora variamente frequentato da auree sparizioni angeliche o da diaboliche tentazioni. o altresì popolato da tutta una serie di animali archetipici, dai purissimi liocorni, ai melanconici cervi, ai potenti vitalissimi arieti, ai lunari fierissimi leopardi, mentre non mancheranno neppure le conturbanti, candide pisseuses, inverecondi simulacri dell'irraggiungibile unione di maschile e femminile, o le infinite, magiche gocce, coinvolte nella sempiterna vicenda dell'ascesa e della caduta, vaganti emblemi della fecondante pioggia, figlia e madre dell'acqua e del lampeggiante fuoco. Oltre ogni raffinata iconologia, superato ogni possibile, anche se talora ironico allegorismo, Cosua verrà quindi indirizzando le proprie istanze creative dell'esplorazione delle radici stesse di ogni possibile trasformabilità. Pressoché contemporaneamente ad un breve ciclo di opere nelle quali l'esigenza di una più compiuta coincidenza fra impulso creativo ed estrinsecazione espressiva spingerà l'artista a campire l'intero campo del quadro di emblematiche e iterative estroflessioni segniche, volte probabilmente a configurare una sorta di illimitata, immaginaria interiorità naturalistica, egli verrà infatti concentrando le proprie ricerche sull'acqua, sull'aria, sul fuoco e sulla terra: gli elementi primordiali che, secondo la tradizione greca, determinano tutti i diversi fenomeni, ora suggestivamente adombrati in un significativo ciclo di grandi paesaggi visionari e primordiali nella loro sconfinata, silente estensione. Ma ben presto le molteplici valenze metaforiche dell'immagine e del colore andranno via via riducendosi, tramite un processo di progressiva sintesi e contrazione iconica, che però, all'opposto, andrà accompagnandosi a una progressiva presenza e accumulazione di latente energia dovuta al concreto impiego di materiali fisici: polveri, ceneri, residui di fusione, sabbie, limo, resine, tritumi, ogni possibile sostanza o reliquia della terra, intesa quale matrice e crogiolo dove nascono e maturano tutte le metamorfosi e trasformazioni. In un primo tempo, nelle nuove opere dell'artista ferrarese, sembrerà quasi affiorare una dialettica tra la sorda e opaca impenetrabilità materiale dei sedimenti terrosi e la ormai consueta ed emblematica porta che talora parrà quasi attrarli a sé prospetticamente, verso un'insondabile alterità, verso un universale al di là, conferendo al lavoro una dimensione insieme fisica e mentale, sovente sottolineata da specchianti, inaspettate simmetrie o da sconcertanti, ripetuti rovesciamenti d'orizzonte. Un'opposizione-relazione tra la muta mineralità e la prenozionale, fermentante organicità delle materie da un lato e l'elaborata, immateriale astrazione della cultura dall'altro, ben presto fisicamente evocata anche tramite la giustapposizione sulla crosta dell'opera di muti, enigmatici libri o di vuote ma significanti cornici. In altri casi Cosua si mostrerà attratto dalla incontrollabile bellezza delle muffe, delle impercettibili germinazioni, delle fermentazioni e decomposizioni che spontaneamente scaturiscono e pullulano dai grassi sedimenti, facendo affiorare stupendi, dolcissimi azzurri-cinerei, plumbei grigi, sulfurei aloni giallastri, rossastre efflorescenze ferrigne: immobili fugacità, sospese, segrete tensioni della materia, forse verso le ideali purezze del colore. Un processo questo al quale sembrano alludere anche alcuni quadri come incoronati da aguzzi, trasparenti frammenti di vetri di Murano. In seguito, non senza probabilmente una qualche lontana memoria o analogia con il celebre erbario sulla flora ruderale di Ferrara del suo illustre concittadino Luigi Filippo Tibertelli De Pisis, i vasti pannelli terrosi di Cosua cominceranno a popolarsi di delicati fogli di carta recanti bellissimi reperti vegetali, elegantissime foglie morte dalle forme mirabilmente diversificate e armoniche: lanceolate, cordate, ovute, sagittate, digitate o palmate, pari o imparipennate. Foglie ed erbe dissecate, ricordi di una straordinaria capacità vitale variamente composti a creare magici giardini, simboli della forza umana temperata dalla saggezza e dal rispetto, volta ad indirizzare il selvaggio prorompere della natura in ordini armonici e regolari: auspicate sintesi del mondo configurantesi quali paradisiaci simulacri o almeno in desiderate porte del cielo. Ma non mancano altresì opere nelle quali lunghissimi , esotici baccelli appaiono come raccolti in uno o più cartocci, insolite cornucopie, emblemi forse della generosa profusione dei doni della terra, agresti fondamenti della fortuna, della liberalità e della possibile felicità comune. Non è comunque quella della flagrante presenza l'unica strada percorsa dall'artista. Altrove, l'operazione risulterà infatti più immateriale e la gran madre terra diverrà, ad esempio, lo spazio di infiniti, forse solo sognati viaggi, ai quali sembra alludere la grande mappa sulla quale è posto un paio di scarpe, esse stesse argutamente foderate di carta geografica. Ma dove la ricerca di Cosua sembra trovare il suo acme è nella sua più recente serie di opere, nelle quali ogni residua finalità iconica sembra ormai completamente sparita. Si tratta di pure e semplici superfici di terra. Il tradizionale motivo è qui infatti completamente assente. Ciò produce una sorta di spaesante smarrimento. La creatività di Cosua sembra allora, per molti aspetti, attingere ai domini della tautologia. La terra è terra, ma, va subito osservato, nello stesso tempo, stratificandosi, sovrapponendosi, diviene anche altro, acquista una particolare uniformità, una sorta di sommessa luminosità, diventa, cioé pittura. Anche se il circolo tra il dipingere e il suo soggetto sembra farsi sempre più stretto, qui l'apparente tautologia si esercita in realtà tra due differenti universi, ossia tra 1a mera fattualità dell'esistenza, da un lato, e la capacità della pittura di trasformare le materie, anche le meno nobili e determinate, attraverso la qualità che è in grado di far assumere alla loro apparizione. Nel tener ferma la essenziale flaganza e concretezza delle sue terre ridando però contemporaneamente spessore al dipingere, Cosua non sembra infatti limitarsi a riproporre nuove immediatezze, allargando semplicemente il campo delle poetiche informalistiche, né tantomeno egli mostra di voler poveristicamente rinunciare a ogni complicazione semantica, focalizzando la propria attenzione su una supposta, banale, univocità del reale, bensì egli, in una riacquistata, seppur forse ancora elementare chiarezza, pare voler riaffermare i valori e le virtualità della pittura, intesa nella sua più profonda essenzialità, non più come entità opinabile e accidentale nel mondo della visione, ma quale luogo privilegiato della scelta, campo della possibilità e della fantasia, universo della libera, anche se talora sofferta, eventualità dell'intensificazione e della crescita, nella sottile evidenza del visibile. Insomma nelle sue opere pi recenti, Cosua sembra come essere stato, in qualche modo, riconquistato dalla pittura. Rimeditando sulle origini stesse del reale, oltre ogni limitazione, oltre ogni prevaricante convenzionalità e ogni piatta e ossificata abitudine, la pittura continua a rivendicare la propria umanissima trascendenza, riaprendo così, ancora una volta, il campo alla possibilità di sempre nuovi apporti poetici e creativi.
Dino Marangon
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