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La trascendenza figurativa di Alex Pergher

Ci sono pittori, da quelli celebrati in tutto il mondo, a quelli che si accontentano di una solida fama locale, che pensano di farci cosa grata evitandoci sussulti e preferendo lasciarci quieti nella consuetudine dei loro modi espressivi. Alex Pergher per un certo periodo ha dato l'impressione di trovarsi bene in questo contesto e per qualche anno le sue opere ci erano familiari come un vecchio e rassicurante compagno conviviale.
Da qualche tempo invece, il registro è mutato e l'artista si è inoltrato lungo nuovi itinerari che forse ci sorprendono. Un più sentito inoltrarsi verso la sintesi, un obiettivo al quale Pergher sembra avvicinarsi lungo due cammini distinti. Innanzitutto non bisogna dimenticare che qui ci troviamo di fronte ad un grande disegnatore, ad un padrone del segno, e allora non può non venire in mente ad esempio il grande Jackson Pollock che prima di approdare alle opere per le quali è entrato nella storia, ha dedicato anni di studio ed intenso lavoro proprio al disegno; insomma, bisogna prima, impadronirsi del segno per poi allontanarsene.
Il secondo percorso resta ancorato al gusto della figura. Un gusto che in Pergher è radicatissimo, tanto che nessuno può scordare i suoi inizi di raffinato iperrealista.
Se è vero che per penetrare il senso più profondo e completo delle cose bisogna andare oltre le apparenze, cioè abbandonare le forme della natura, e questo è il cammino seguito dall'arte moderna da Kandinsky in poi, nel tentativo appunto di penetrare l'essenza, trascendendo la forma, è anche vero che lo stesso tentativo può essere compiuto restando ancorati alla figura, e quindi dopo questa considerazione si potrebbe definire l'arte di Pergher, un processo di trascendenza figurativa.

G. Vonmetz Schiano

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