Archivio Attivo Arte
Contemporanea
http://www.caldarelli.it
Galleria
d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico
documentativo
CHIACCHIERE
LUNATICHE
RICORDI - RIFLESSIONI - PROGETTI - RACCONTI - DOCUMENTI
PER UN RICORDO DI MARIO RADICE Un incontro
con le figlie Nena e Barbara di MICHELE CALDARELLI Nena, la primogenita, nata nel periodo in cui Mario Radice con la moglie Rosetta aveva vissuto in Argentina, e Barbara, di 15 anni più giovane, sono cresciute come due figlie uniche data la distanza d'età, restando insieme in casa solo sei anni, fino al matrimonio di Nena. In seguito, le reciproche frequentazioni hanno tenuto unita la famiglia... Le abbiamo intervistate recuperando un breve spaccato di vita familiare oltre che il loro ricordo del padre. Com'era il clima familiare? Barbara:
Mia madre era una donna con un carattere solare, ricordo che cantava
sempre, mentre papà lo ricordo più nervoso, un personaggio più
complesso ma molto affettuoso. Come conciliava Mario Radice la quotidianità con l'attività artistica e in che modo vi ha insegnato l'amore per l'arte e la cultura in generale? Avevate coscienza del suo impegno culturale? Barbara: Quando ancora avevo due o tre anni, credo, era consuetudine che mi mostrasse quello che io chiamavo il libro delle figure, un testo che, come mi resi conto in seguito, conteneva riproduzioni di opere d'artisti come Braque, Picasso e altri maestri della pittura. In casa rientrava nella quotidianità lo sfogliare libri d'arte e ascoltare discorsi ad essa relativi o, in generale, di cultura. Io sono stata molto consapevole, fin da piccola, del fatto che lui stava facendo qualcosa di molto bello e speciale; non credevo strana l'occupazione di mio padre, quanto piuttosto l'atteggiamento degli altri che non gli rendevano il giusto merito. Mio padre era una persona che teneva i dicorsi sempre molto alti, molto sollevati da terra...ma era un uomo "intero" nei confronti della vita, era padre e artista senza scissione di ruoli e subordinazione di impegno; consideravo normale questo suo essere... tutti gli uomini dovrebbero comportarsi così. Nena:
Non si parlava d'altro, ci siamo nutrite di cultura fin dai primi
anni di età, sono passati da casa nostra un mucchio di artisti, da
Fontana a Carrà, De Chirico, Le Corbusier... Anche Marinetti e sua
moglie sono venuti spesso a cena. La mamma preparava il risotto per
tutti alle dieci di sera, peccato che a noi toccasse poi di andare a
letto presto... Cosa
ricordate dei suoi rapporti e incontri con gli amici e compagni di
avventura artistica Barbara: Il papà nutriva un grande amore per la città di Como, quasi viscerale, e, ancora di più per il lago contagiandone anche la famiglia. Aveva assidue frequentazioni con gli amici, mi ricordo bene che venivano spesso in casa la sera anche se di Terragni, naturalmente, conosco solo quello che mi raccontavano in famiglia... della straordinaria amicizia e intesa che lo aveva legato al papà... lo chiamavano Peppìn. Como però, va detto, lo irritava per una certa pigrizia intellettuale dei comaschi anche se aveva un grande rispetto per la storia della città. Nena: Gli amici del "gruppo Como" come oggi è ricordato, si incontravano al caffè Rebecchi (all'angolo tra via Rusconi e via Luini) e, sul tardi, si accompagnavano a casa a vicenda tornando indietro più volte sui propri passi per concludere le discussioni, spesso molto accese oltre che senza fine. "Fate del gran chiacchierare!" Sottolineava scherzosamente la mamma ogni tanto ma anche per lei era frequentemente un piacere ospitarli in casa e far loro provare la sua ottima cucina.Come era la sua visione del mondo? Quale senso dava all'opera d'arte e al compito dell'artista? Barbara: Naturalmente come ogni artista desiderava che la sua opera gli sopravvivesse, ma soprattutto mio padre pensava che l'arte dovesse porsi al di fuori delle mode, dei tempi e delle fissazioni degli storici. Nena: Papà era molto legato alla natura e alla ricerca della perfezione, amava molto i fiori e i loro colori. E' stato anche pittore figurativo benché poi sia diventato uno dei fondatori dell'astrattismo italiano. Per lui il dipingere e il disegnare era un'occupazione continua, un impegno di vita. Era instancabile... ricordo che non poteva mai tenere le mani inoperose, disegnava ovunque, utilizzava ogni foglio che gli capitava in mano, anche il retro del calendario dell'anno prima, finché...Era quasi alla fine della sua vita, io l'avevo accompagnato nel suo studio e per ingannare il tempo, come sempre, mi era sembrato giusto mettergli un foglio bianco davanti e una matita chiedendogli di farmi un disegno, ma lui con molta dolcezza lo ha allontanato dicendomi: "tutto quello che volevo fare l'ho fatto... adesso tocca a voi..." |