Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c - Como - archivio storico documentativo

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"JE VIS ÇA ME SUFFIT"

WOUT HOEBOER


2007

Dalla presentazione alla mostra del 2007 alla Galleria d'Arte Il Salotto - Como - di: Rosabianca Mascetti

"Je vis, ça me suffit" è il titolo della mostra omaggio a Wout Hoeboer (Rotterdam 1910 - Bruxelles 1983) che la galleria d'arte Il Salotto di Como presenta 3 febbraio al 2 marzo 2007 con una trentina di opere tra tele acqueforti monotipi guazzi e tempere realizzate negli anni Settanta. "Je vis, ça me suffit" , Vivo, e questo mi basta una frase che suona come una dichiarazione ultimativa con la quale Wout Hoeboer zittiva chi richiedesse troppe spiegazioni di lettura delle sue opere ma che racchiude anche tutta una filosofia di vita e di lavoro. Significa che non bisogna farsi troppe domande ma bisogna vivere intensamente perché già questo è tanto e basta. Olandese di nascita, belga d'adozione, a 14 anni è il più giovane degli "Amici del Museo di Rotterdam" e dedica tutto il suo tempo libero allo studio dell'arte e alle visite alle gallerie, si costruisce da solo una scatola per i colori, un'abitudine, quella di creare con le sue mani gli utensili del suo mestiere, come cavalletti, tavoli, cornici, supporti, che non perderà mai, anche quando le migliori finanze gli consentirebbero acquisti facili. E anche questo la dice lunga sulla sua personalità che lo spinge a creare, studiare, viaggiare, indagare, conoscere, raccogliere materiali e lavorare sempre e comunque. Una lunga carriera partecipe dei movimenti d'avanguardia dal Dadaismo, al Post-Dada, al Surrealismo, al Costruttivismo, all'Astrazione, a Cobra, all'Arte Nucleare, sempre a contatto con i grandi artisti del suo tempo ma mantenendo una propria autonomia, uno spirito libero indipendente, un outsider. Fu pittore, scultore, scenografo, grafico e incisore di grande talento cui si affidavano gli artisti del Gruppo Phantomas e Cobra. L'arte di Wout Hoeboer è costituita sul ritmo di forme (cerchi, quadrati, croci, stelle, macchie nere...) composte e scomposte con un gesto naturale ma equilibrato, sicuro nella tecnica ,libero nell'uso della scrittura come segno calligrafico, dove la tavolozza cromatica, limitata il più delle volte ai colori primari, viene sottoposta però ad una accurata selezionati dei pigmenti. Lavori a sua immagine e somiglianza scanzonati, ricchi di humour, che dichiarano l'entusiasmo con la quale la mano segue il movimento nel piacere di eseguire una composizione che rimanda energia, gioia di creare e di vivere con leggerezza ed è tutto molto semplice "ça suffit".
Rosabianca Mascetti

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" PAMPADADA "
di Roberto Sanesi

dal testo di presentazione della mostra "PAMAPADADA" personale di Wout Hoeboer con 100 opere (disegni, incisioni, acquaforti, pitture, collages, oggetti realizzati tra il 1927 e il 1975) presentata alla galleria Il Salotto di Como dal 27 settembre al 10 ottobre 1975.


Non so se Wout Hoeboer abbia mai avuto tempo, occupato ad esaminare il locus pluridimensionale di quella sua ingenua poesia (e vita) in cui volteggiano nudi e senza malizia i solidi erranti dell’impossibile possibilità del sogno o le sirene di voce sottilmente geometrica dell’utopia, di esaminare a fondo se stesso, ma certo, come Hugo Ball, nulla gli vieterebbe di dichiarare di non essere disposto a dare il benvenuto al caos. Cosa che egli fa, naturalmente: ma come qualsiasi artista colpito dalle illuminazioni Dada, come qualsiasi poeta consapevole delle strettoie del linguaggio codificato, attraverso la ricerca e l’attuazione della frattura, del varco, del punto di sfaldamento del text, o test, tessuto, testimonianza e verifica di ciò che va componendo (non è contraddittorio) fino dagli "anni trenta" mantenendo intatta la propria pudicizia e la propria autonomia attraverso le più diverse sollecitazioni. Dada, post-dada, surrealismo, costruttivismo, astrazione, cobra, nulla di tutto questo e tutto indifferentemente, ecc.
A n’ouvrir qu’en chambre noire: la luce della definizione esatta gli nuoce. Si cerchi Wout Hoeboer in storie, resoconti, documentazioni, cronache, cataloghi, fotografie sbiadite: c’è e non c’è, si nasconde, si apparta - al massimo lo si intravede di spalle, come se guardasse sempre da un’altra parte, fuori dal margine dell’immagine e fuori dal gruppo: un tipo che passa di lì per caso, e che se ne va portandosi dietro una grande esperienza. Se qualcuno, gettando un’occhiata di lato, si rende conto della sua presenza tende a rivolgergli la parola balbettando accensioni liriche; è sempre difficile acchiappare un pesce per la coda: "è evidente che Wout Hoeboer si forma anche come creatore tramite la proiezione, la riflessione delle proprie opere su se stesso sì tramite tali proiezioni e riflessioni sulle zone delicate della sua coscienza" (Marcel Lecomte). La sua dote fondamentale è la fuga nella libertà, lo svicolamento improvviso dal "dato di fatto", che è una "presa di fatto", per un abbandono di se stesso non al "fatto" ma allo spazio, alla distanza che si pone fra un "fatto" e l’altro, tanto da privilegiare non il raggiungimento, il godimento (che sarebbe estenuazione, conclusione), ma l’attesa, piacere più sottile. [...]

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NELLA FOTO - DA SINISTRA
MICHELE CALDARELLI - ALFONSO CALDARELLI - WOUT HOEBOER
1975 - COMO


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