A
scuola dalle analogie
di Giorgio Celli
Interpretare i comportamenti cosiddetti “superiori” dell’uomo
partendo “dal basso” significa, forse, non dare a Cesare quel che
è di Cesare, e praticare quel “riduzionismo” oggi inviso agli scienziati,
e ai filosofi dediti alla “sfida della complessità”. Ma il loro
dissenso non sarà, in qualche misura, il risultato di un equivoco?
Colpa dei positivisti, dei Vogt e dei Buchner, che, se non avevano
proprio “inventato” questo approccio, l’avevano, è certo, ampiamente
chiamato in causa. Ahimè, essendo non dotati di alcuna sensibilità
per le “sfumature”, erano riusciti quasi sempre ad apparire semplicisti,
quando non grossolani. In realtà, procedere nell’esame di un fenomeno
dal “basso all’alto” non è cosa in sé riprovevole, o scorretta dal
punto di vista epistemologico, a patto che si tenga ben presente
di star facendo “proprio questo” e che ci si astenga dal reificare
le metafore. Mi spiego meglio: dire, come Rutherford, che un atomo
con i suoi elettroni potrebbe essere analogo a un sistema solare
in miniatura, significa proporre delle verifiche attraverso una
metafora. L’analogia formale nasconde una qualche analogia funzionale?
Si tratta di pensare per modelli, e non di rovesciare il telescopio!
Ahimè, spesso i positivisti peccavano di troppo realismo, e identificando
le parole con le cose, finivano per fare, malgrado loro, della cattiva
metafisica. Excusatio non petita... intendo sgombrare il
campo da ogni equivoco, perché sto per proporvi un divertissement
sulla biologia dell’ arte, con intenti lucidi, ma, se considerati
alla luce del posto dell’uomo nella natura, anche segretamente
pedagogici. Veniamo subito al sodo: esiste in natura un insieme
di fenomeni straordinari che sono stati rubricati dagli scienziati
con la parola comprensiva di mimetismo. Nell’accezione più propria,
la parola allude alla presenza di una “imitazione”, e cominciamo,
allora, con la scorta di Winckelmann, a evocare Zeusi che dipinge
sulla parete di una casa un cesto d’uva. La verosimiglianza dell’affresco
è tale che gli uccelli scendono in frotta a beccare gli acini.
Dunque, per Zeusi far pittura significa rifare la natura,
e il Rinascimento, dopo gli “anni bui” delle chimere artigliate
alle cattedrali, farà sua questa teoria dello stare allo specchio.
Torniamo, ora, al mimetismo, e ritroviamoci in compagnia di Henry
Bates, sulla metà del secolo scorso, a caccia di farfalle nelle
foreste dell’Amazzonia. Il naturalista, che vive in quell’Eden da
un decennio, ha notato che certe farfalle si somigliano moltissimo
tra di loro, anche se non esiste alcuna affinità sistematica. Perché
mai? Ci pensa e ci ripensa, e gli viene in aiuto Charles Darwin.
Il padre dell’evoluzione dà alle stampe, nel 1859, il libro
cruciale; non parla affatto di mimetismo, ma fornisce a Bates la
chiave per capirci un bel po’ in merito. Il cacciatore di farfalle
è abituato a cogliere le cose al volo, anche le idee, a quanto
sembra, ed è con sorprendente tempestività che nel 1861 pubblica
una memoria scientifica in cui, per primo, impiega la selezione
naturale di Darwin per spiegare un certo fenomeno biologico. Insomma,
ecco i fatti: due specie di farfalle “somiglianti” sono entrambe
predate dagli uccelli, solo che l’una, che funge da modello, è
di gusto abominevole, mentre l’altra, il cosiddetto mimo, è
molto appetitosa. Succede che quando il predatore alato fa esperienza
del sapore disgustoso del modello, cessa di perseguitarlo, e sospende
anche la caccia del mimo, perché lo scambia per l’altro. In principio,
c’era solo una somiglianza casuale, e forse percettivamente incerta,
ma ecco che gli uccelli, premiando gli individui del mimo più conformi,
hanno perfezionato, nel corso delle generazioni, la sua specularità.
Questo mimetismo, fondato su di un errore percettivo, chiamato in
onore del suo scopritore batesiano, attiva una pièce a tre
attori. Ricordando Zeusi, il modello è il cesto d’uva reale, il
mimo è il cesto d’uva in affresco, l’osservatore ingannato è l’uccello
che becca i finti acini. Se l’arte, come ha decretato Ernst Gombrich,
è illusione, il mimetismo è il suo “doppio biologico”. Ha ragione
Adolf Portmann, allora, a scrivere che la natura opera come un artista
e che il mondo è il suo atelier? La selezione naturale “ritocca”
gli errori di conformità del mimo, finché la sua opera d’arte organica
non risponde del tutto alle aspettative. Sulle spalle di Leonardo
da Vinci si posa il fantasma dell’uccello insettivoro. Ambedue fabbricano
illusioni, l’uno di donne misteriosamente sorridenti, l’altro di
farfalle diabolicamente travestite. Ma se tutto questo è vero, opinava
un mio amico storico dell’arte, la natura, e chiedeva scusa
per il calembour, produrrebbe soltanto un’ arte naturalista?
E la pittura astratta? La biologia dell’arte sarebbe soltanto
apollinea, non prevederebbe Pollock ma solamente Rembrandt. Macché,
nel mimetismo troviamo tutto di tutto, non solo l’imitazione, ma
perfino l’astrazione e il surrealismo. Prendiamo il caso del mimetismo
terrifico: il rapporto di specularità tra modello e mimo non
è più lineare, si problematizza. Il modello diventa sincretico,
irreale, potenziale, come i paesaggi del mondo nelle manipolazioni
cubiste di Picasso e di Braque. Aspiro a farvi capir meglio tutta
la faccenda con un esempio: una mantide dal nome esoterico, Pseudocreobotra
wahlbergi, quando intende spaventare un suo persecutore, assume
una strana postura: apre le ali, esibisce delle macchie oculari
che ha in appannaggio, sulle ali anteriori, piega a sinistra e a
destra, simmetricamente, le zampe raptatorie. Imita una creatura
terribile.., che non esiste. Un mostro irreale, anzi surreale, come
un reperto onirico di Max Ernst. La nostra mantide fa della body-art
puntando sulla trasfigurazione invece che sulla rappresentazione.
Molte farfalle la seguono per questa strada. Hanno in dotazione,
sulle ali, delle macchie oculari, e quando vengono poste in stato
di emergenza, per esempio da un uccello con cattive intenzioni,
lo spaventano esibendo di colpo quelle pupille vicarie. Il predatore
resta sconcertato, come se si fosse imbattuto, in un paese d’Alice
ornitologico, in un gatto magico, di cui solo gli occhi siano rimasti
visibili. La farfalla si difende, così, evocando un felino astratto,
una metonimia di felino, in cui l’occhio sta per l’intero animale.
Ma precisiamo un po’ meglio l’aspetto surrealista del mimetismo,
già citato. Sarà utile ricordare che il surrealismo è stato una
corrente artistica e letteraria del nostro secolo, che ha promosso,
come tecnica per produrre effetti estetici, lo “spaesamento”. L’ipotesi
era che far arte coincida col far saltare in aria le idee coatte,
i concatenamenti logici, proponendo, come ha scritto Lautreamont,
uno dei precursori di André Breton, il capofila del clan, “l’incontro
di un ombrello e di una macchina da cucire su di un tavolo operatorio”
come il paradigma più proprio della metafora pittorica e poetica.
Insomma, spaesare significa mettere “fuori posto”, contraddire le
aspettative codificate, coltivare il gusto e le alchimie degli accostamenti
impossibili, dei comportamenti anormali. Devo dire, allora, che,
anche in questo caso, certi animali, molto prima di Lautreamont,
hanno dimostrato di essere dei maestri nell’ arte dell’imprevedibile,
e non esito ad annoverarli tra gli ascendenti biologici di Salvador
Dalì, e soci. Esiste un insetto della Tailandia, un emittero, che
esibisce, all’estremità addominale, due macchie, una per parte,
di forma oculare, e due curiosi prolungamenti a clava, simmetrici
a loro volta, che sembrano delle vere e proprie antenne. Insomma,
tutto il congegno morfologico si configura come una macchina ottica
illusoria, che suggerisce una testa... dove non c’è. A che cosa
serve questa mascherata? Non è ben chiaro, ma una delle ipotesi
più probabili è che abbia, per l’insetto, una funzione protettiva,
che ne favorisca la sopravvivenza. Quando un predatore si avvicina
al nostro illusionista, sicuramente con cattive intenzioni, non
lo vede spostarsi con la testa in avanti, ma con il “passo del gambero”.
Questo movimento “spaesato” sconcerta il killer potenziale, che
esita ad aggredire la strana creatura? Oppure, supponiamo che si
tratti di un uccello, la finta testa attirerà su di sé quei colpi
di becco che, inferti a quella vera, riuscirebbero ben più letali?
Queste nostre escogitazioni ellittiche su di un parallelo possibile
tra il mimetismo e l’arte non sono, come qualche allievo di Croce
potrebbe credere, del tutto deliranti. Ernst Gombrich, il prestigioso
storico dell’arte che abbiamo già chiamato in causa, in un suo saggio
sulle “scoperte visive attraverso l’arte” non ha esitato a mettere
in relazione i fenomeni mimetici con quelli estetici. Il fatto è
che, riduzionismo o no, il mondo dei viventi ha una sua intima coerenza,
e in tutto quello che l’uomo fa brilla, come una pepita sommersa,
il segno, anzi il geroglifico, delle sue origini.
“Talora, mentre pianto
un chiodo nel muro di casa mia per appendere un quadro, o quando,
forse ancor più raramente, faccio un po’ di ginnastica da camera
gridando hop! hop!, allorché, insomma, mi comporto in maniera inconsueta,
scopro che il gatto mi osserva. Sta lì, sul divano, con gli occhi
sgranati e una espressione, lasciatemi dire così, tra la meraviglia
e la curiosità. Mi viene il dubbio, allora, che da sempre ci siano
nell’appartamento due etologi a confronto: un uomo che cerca di
capire un gatto... e viceversa.”
Da Bestiario
postmoderno di Giorgio Celli - Ed Riuniti 1990
Note
Biografiche
Giorgio
Celli ha seguito studi prevalentemente scientifici e oggi
svolge delle ricerche presso l'Istituto di Entomologia dell'Università
di Bologna.
Ha
dato alle stampe più di un centinaio di lavori scientifici. Si è
occupato di ecologia del campo coltivato, con particolare riferimento
ai metodi biologici di contenimento delle popolazioni di insetti
dannosi alle colture, in alternativa ai pesticidi.
Ha
fondato una "biofabbrica" di insetti utili a Martorano
di Cesena, una struttura unica nel nostro paese, che fornisce agli
agricoltori gli ausiliari, allevati massivamente in laboratorio,
per difendere il loro prodotto dall'assalto delle specie nocive.
Si
è occupato di parassitismo e di equilibri delle popolazioni entomatiche
e ha dato vita a due centri di ecologia applicata, gestiti l'uno
dalla provincia di Bologna, con sede a Crevalcore, e l'altro presso
il comune di Comacchio. In ambedue i centri si lavora nel senso
di controllare biologicamente le zanzare nei lidi ferraresi e nel
parco del Delta del Po e di sostituire i pesticidi con mezzi biologici
più rispettosi dell'ambiente e della salute umana.
Si
è occupato anche di ecologia, con un progetto esteso durante alcuni
anni in tutto il nord dell'Italia (300 stazioni di rilevamento)
impiegando l'ape come indicatore biologico dell'inquinamento da
pesticidi del territorio. In diverse città (Bologna compresa) l'ape
è stata utilizzata come sensore mobile del piombo atmosferico di
origine veicolare.
Etologo,
ha svolto ricerche sull'intelligenza e la percezione visiva delle
api.
Giorgio
Celli ha coltivato da sempre, in parallelo con la ricerca scientifica
una intensa attività di divulgatore, di scrittore e di critico d'arte.
Ha fatto parte del Gruppo 63 e ha pubblicato romanzi, libri di versi,
e testi teatrali.
Un
suo testo "Le tentazioni del professor Faust" (Feltrinelli,
1976) ha vinto, nel 1975, il Premio Pirandello, e due altre piece
sono state messe in scena al Festival dei due mondi di Spoleto,
"Il sonno dei carnefici" nel 1975 e "Vita
e meravigliose avventure di Lazzarino da Tormes" nel 1977.
Per
il Nono Centenario dell'ateneo bolognese è stato rappresentato in
aula magna un suo testo "Copernico e le stelle" lo stesso
giorno del conferimento della laurea honoris causa a Dubcek.
Ha inoltre curato nel 1986, un settore
nell'ambito di "Arte e scienza" alla Biennale di Venezia.
L'ipotesi
che regge tutto il suo lavoro tende a una riunificazione delle due
culture, quella scientifica e quella artistica, un problema che,
considerate le sue esistenze parallele, sembra essere per lui a
un tempo esistenziale e storico.
Tra
le pubblicazioni più recenti ricordiamo:
-La
scienza del comico
(Calderini 1982), tradotto anche in tedesco,
-Etologia
da camera
(Rizzoli 1983, ora nella Bur, 1994),
-Ecologi
e scimmie di Dio (Feltrinelli 1985, ora in Universale Economica),
-Bestiario
postmoderno (Editori Riuniti 1990),
-Bugie,
fossili e farfalle (Il Mulino 1991), a sua volta tradotto
in tedesco,
-Sotto
la quercia
(Feltrinelli 1992),
-Etologia
della vita quotidiana (Cortina 1992),
-Versiverdi (La Corte 1993),
-Dio
fa il professore
(Bollati Boringhieri 1994),
-Oltre
Babele
(Marsilio 1994),
-La
vita segreta dei gatti (Muzzio 1994),
-Come
le vespe d'autunno (Marsilio 1995),
-Gatti,
gatti gatti e altre storie (Muzzio 1995) e altri.
Collabora
con "La Stampa" ed è autore e conduttore da diversi anni
di una rubrica televisiva dal titolo "Nel regno degli animali".
Dal
1999 lavora al Parlamento Europeo come eurodeputato eletto nelle
liste dei Verdi.
Chi volesse saperne di più può collegarsi
a:
http://www.entom.agrsci.unibo.it/
http://www.giorgiocelli.it